KALPORZ AWARDS – The 20 Best Albums of 2016

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Un 2016 molto difficile, tra morti illustri, inquietanti scenari distopici tra Europa e Stati Uniti, continue crisi internazionali, la questione della post-verità.

I migliori album dell’anno rispecchiano bene questo sentimento di tensione e malumore ormai intergenerazionale, tra rabbia, rassegnazione, presagi sinistri, distacco e la ricerca di una fuga spirituale.

Ed ecco a voi, come ogni anno la lista dei 20 migliori album, scelti dai nostri redattori e collaboratori, anno dopo anno sempre più trasversale ed eterogenea.

20. BOB MOULD, “Patch The Sky”

(Merge Records)
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Dopo il suo ritorno sulle scene del 2012, il leggendario frontman degli Hüsker Du continua a dare lezioni di Indie Rock, tra riff memorabili e una vena melodica punk ancora viva.


19. SHABAKA AND THE ANCESTORS, “Wisdom Of The Elders

(Brownswood Recordings)
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“The wisdom of elders” fa da ponte tra passato e futuro. La spiritualità jazz parla linguaggi musicali afro (ed) americani: il sassofonista londinese Shabaka Hutchings ed i sudafricani Ancestors a Johannesburg, in una sola giornata, registrano l’album: nove brani che sono un viaggio e dialogo sonoro, indietro ed avanti di anni.


18. TOY, “Clear Shot”

(Heavenly Recordings)
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Un album attraverso il quale annotare l’eterno farsi e disfarsi di quel filo conduttore di quella psichedelia che tanto amiamo. Una psichedelia sobria, dalle tinte garage, insomma, una psichedelia di oggi. Europea, il che non guasta.


17. TEENAGE FANCLUB, “Here”

(Merge Records)
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“Here” è il ritorno dei Teenage Fanclub, tra i gruppi storici dell’ondata power pop anni novanta. E, come succede ormai da più vent’anni, Norman Blake, Gerard Love e Raymond McGinley – i tre autori della band scozzese – scrivono canzoni ricamate su (belle) melodie ed armonie pop. Una sicurezza.


16. CHANCE, THE RAPPER, “Colouring Book”

(self-released)
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Ancora un anno difficile per il popolo afroamericano, in questo 2016 che segna la fine dell’era Obama e forse di un’epoca. La giovane promessa dell’hip hop di Chicago, come tanti altri suoi colleghi, abbraccia la tradizione soul e gospel, tra passato e presente. Una voce di speranza e ottimismo, non solo musicalmente.


15. CARLA DAL FORNO, “You Know What It’s Like”

(Blackest Ever Black)
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Il debutto dell’australiana ha un’impronta intima, espressa con la tecnica del contrasto. Ogni singola traccia mette in luce uno scontro esistenziale diverso, la segretezza dell’intimità ma anche lo sguardo dell’estraneo che viola il nostro intimo, l’importanza dei rapporti autentici ma allo stesso tempo il consumarsi vicendevolmente con persone sempre diverse che all’improvviso scompaiono, il presente vissuto come paura del futuro.


14. RADIOHEAD, “A Moon Shaped Pool”

(XL Recordings)
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E fu così che arrivò la svolta orchestrale. Detta in questo modo la si fa semplice, ci sono tantissime altre sfumature da cogliere nell’LP9 dei Radiohead ma questo appunto è probabilmente il nodo focale dell’approdo attuale dell’evoluzione sonora dei cinque di Oxford, dei campioni nell’essere loro stessi assecondando la propria crescita artistica e anagrafica all’interno del più complesso mutamento dei tempi, dei suoni, dei gusti e delle tecniche degli strumenti.


13. JENNY HVAL, “Blood Bitch”

(Sacred Bones Records)
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Jenny Hval sofisticata e tormentata cantautrice norvegese ha costruito il suo ultimo album “Blood Bitch” come un’opera narrativa concettuale che drammatizza la crisi e le urgenze della femminilità al di là dei limiti di identità e genere, come categorie socialmente e storicamente imposte dalla cultura dominante


12. KANYE WEST, “The Life Of Pablo”

(Def Jam / G.O.O.D. Music)
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Tra megalomania e una fragilità sempre più evidente. Tra spettri del passato e velleità futuristiche. Tra la ricerca di una dimensione spirituale e l’ossessione per la moda e il brand. Tra un ego incontenibile e la voglia di dare comunque voce ai nomi hip hop più apprezzati del momento senza alcun timore di esserne offuscato. I giudizi sulla persona lasciano il tempo che trovano, “The Life Of Pablo” conferma ancora una volta lo spessore artistico del personaggio pop più geniale e controverso dell’ultimo decennio.


11. KING GIZZARD & THE LIZARD WIZARD, “Nonagon Infinity”

(ATO Records)
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Nove uscite discografiche in quattro anni per i sette australiani che finalmente quadrano il cerchio con una straripante scarica di acid-rock. Strutture armoniche caleidoscopiche, paesaggi desertici, irrequietezza garage e passaggi incendiari.


10. PREOCCUPATIONS, “Preoccupations”

(Jagjaguwar)
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Dalle preoccupazioni legate al vecchio nome Viet Cong, costretti a sostituire, emerge un disco dal pathos decadente ancora molto 80s nella direzione dei primi lavori di Echo & the Bunnymen e dei Teardrop Explodes della fase Julian Cope. Sonorità aspre, ritmiche ossessive e una propensione melodica più efficace rispetto all’esordio.


9. LEONARD COHEN, “You Want It Darker”

(Columbia/Sony)
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Il vecchio leone, pronto ad andare ci lascia, forse, un ultimo consiglio: che l’amore faccia parte in qualunque maniera delle nostre vite.
Un canto di vita in punto di morte, questo è “You Want It Darker”.


8. BEYONCÉ, “Lemonade”

(Columbia/Parkwood)
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L’opera forse definitiva, il manifesto del pirotecnico mondo di Beyoncé dove gli eccessi non disturbano, dove il femminismo, l’orgoglio afroamericano e la denuncia sociale si mischiano al fashion. Dove essere pop risulta essere di una qualità assai rara rispetto a tanta musica d’autore dei nostri giorni.


7. BON IVER, “22, A Million”

(Jagjaguwar)
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Autotune, Peter Gabriele e Kanye West: un’opera ambiziosa, coraggiosa, a tratti incompiuta e semplicemente abbozzata, che continuerà a tenere vivo il singolare e meritato “mito” di Justin Vernon e del suo progetto Bon Iver.


6. ANOHNI, “Hopelessness”

(Secretly Canadian/Rough Trade)
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La nuova inquieta trasfigurazione femminile di Antony, affiancata in questo progetto da due guru della produzione elettronica come Oneohtrix Point Never e Hudson Mohawks. Un drammatico affresco contemporaneo di una bellezza disarmante, con testi dai contenuti forti e attuali, arrangiamenti freddi e impeccabili, canzoni sempre ispirate e toccanti.


5. KEVIN MORBY, “Singing Saw”

(Dead Oceans)
kevin-morby-singing-sawGiunto al terzo disco solista, Kevin Morby non sbaglia nulla, e questo “Singing Saw” è sostanzialmente un album senza difetti. Non c’è un pezzo che non funzioni, non c’è nulla fuori posto: rispetto ai due album precedenti, la crescita artistica e compositiva è evidente, e le tracce esprimono il meglio del suo personale stile indie-rock, ora definitivamente inconfondibile. Dalle orchestrazioni ombrose di “I Have Been Through The Mountains” a quelle ben più distese di “Dorothy”, “Singing Saw” è il miglior disco che ci potevamo aspettare da Kevin Morby.


4. NICK CAVE & THE BAD SEEDS, “Skeleton Tree”

(Bad Seed Ltd.)
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Con “Skeleton Tree”, Nick Cave prova ancora una volta a risollevarsi, come a dare voce, come solo lui può, alla bellezza e alla speranza che sfida ogni giorno la tragedia della realtà e l’ineluttabile miseria dell’essere umano.


3. CAR SEAT HEADREST, “Teens Of Denial”

(Matador Records)
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È un disco che non lascia nulla di intentato, e che esprime il massimo possibile in ognuna delle dodici canzoni che lo compongono: c’è il rumore, c’è il sudore, c’è il fuoco, ci sono i ritornelli facili, ci sono le melodie a presa rapida, c’è la spensieratezza


2. FRANK OCEAN, “Blonde”

(self-released)
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In controtendenza con il trend generale, è un album pieno di chitarre e strumenti veri, freddi, distanti, ma in qualche modo avvolgenti come un disco soul d’altri tempi, un classico R&B o un album folk-rock degli ultimi due decenni. E una frase a chiudere il disco: “Quanto dista un anno luce?”. Frank Ocean, guarda lontano o più probabilmente ci osserva davvero da lontano, forse da un’altra galassia.

1. DAVID BOWIE, “Blackstar”

(RCA/Columbia)
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Un sapiente che sa raccontare la sua saggezza. E certe volte il racconto prende il sopravvento sullo stesso contenuto. Che poi vi piace o non vi piace conta poco. Conta zero. Volete mettere con tutto il clamore, con il gesto, con l’ennesima dimostrazione di super-attualità e trasversalità?

KALPORZ AWARDS HISTORY (ex Musikàl Awards):
Kalporz Awards 2015 (Sufjan Stevens)
Kalporz Awards 2014 (The War On Drugs)
Kalporz Awards 2013 (Kurt Vile)
Kalporz Awards 2012 (Tame Impala)
Kalporz Awards 2011 (Fleet Foxes)
Kalporz Awards 2010 (Arcade Fire)
Kalporz Awards 2009 (The Flaming Lips)
Kalporz Awards 2008 (Portishead)
Kalporz Awards 2007 (Radiohead)
Kalporz Awards 2006 (The Lemonheads)
Kalporz Awards 2005 (Low)
Kalporz Awards 2004 (Blonde Redhead, Divine Comedy, Franz Ferdinand, Wilco)
Kalporz Awards 2003 (Radiohead)
Kalporz Awards 2002 (Oneida)
Kalporz Awards 2001 (Ed Harcourt)