LOW, “C’Mon” (Sub Pop, 2011)

Si chiama felicità questa forma di rispetto con cui mi accosto al ritorno dei Low, non lo nascondo. Mi rendo conto che non possono essere presentati dicendo semplicemente che il loro ritorno era attesissimo. Semplicemente posso constatare che l’unico modo per dire che i Low sono tornati è andare ad ascoltare “C’Mon”. Un lavoro che disperde il timore che i Nostri avessero perso l’innata familiarità con lo spirito, e che ce li riconsegna talmente padroni della loro arte da non mostrare il bisogno di apportare novità. Ai Low interessa tornare a parlare alla gente, ad essere “amici” schietti e diretti per parlare di cose assai importanti. Significa tornare a essere rigorosi con tenerezza e spontanei con fonda saggezza.

Non è più possibile tornare ai fasti dolenti di “Things We Lost In The Fire” e al perfetto stoicismo di “Trust”. Altri tempi, altri cieli. Ma ai Low basta suonare come sanno per ristabilire la rotta. “C’mon” riporta i piedi sul mainstream inventato da loro medesimi, alla ricerca spirituale e ascetica che li rende ancora oggi profeti autorevoli, di quelli che stanno attenti a non cadere nel riprovevole errore di voler concludere in fretta: ogni canzone scava fino all’osso sentimenti e verità, senza il timore di ripetere concetti e principi, prendendosi il tempo necessario per essere sicuri di non essere fraintesi, di essere stati compresi. Ma è così che si costruiscono fondamenta solide e soprattutto la pazienza dell’ascolto, il consumo che disfa le note e lo spettro sonoro con lentezza, fino all’assorbimento completo, al raggiungimento ultimo dell’infinito.

Desidero però non aggiungere troppe parole a un album che fa della sottrazione il tono pieno di grazia e di misura che lo rende necessario in questa prima metà dell’anno.
“C’mon” è una noce dura che si dissigilla per mostrare un universo folk in miniatura, che ondeggia tra il melodioso rivelato in “Try to Sleep”, la opening track quanto mai parlante e robusta, e l’ammaliante crepuscolare di “You See Everything”; tra l’austero sacro di “$20” (“My Love is for free” mantra pungente che suona profondo nell’anima), e il rarefatto espresso mirabilmente in “Majesty/Magic” brano che implode come un big bang dentro la chiesa sconsacrata dove l’album è stato registrato. Si tratta di un universo in espansione che per le sue leggi interne viaggia ormai pacificato, che approda alla visione di “Something’s Turning Over”, solare quanto “La La La Song” era lunare, dove le voci sponsali di Alan e Mimi si intrecciano ai cori fanciulleschi dei due figli. Una pace candida e familiare si dispiega sulla gente, una luminosa landa, piena di quiete alla sera, che il cuore affannato e posseduto da fantasmi ha scorto finalmente dopo prove tempestose: lascito ultimo degno di grandi artisti, quali semplicemente sono i Low.

87/100

(Stefania Italiano)

Collegamenti su Kalporz:
Low Concerto all’Estragon (Bologna)
Low
Drums And Guns
Low
The Great Destroyer
Low
Concerto a Ferrara
Low
– Concerto a Firenze
Low
Concerto all’Estragon (BO)
Low
Trust
Low – Things We Lost In The Fire

23 maggio 2011

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