CRISTINA DONA’, La quinta stagione (Capitol / EMI, 2007)

Rumore di vento, e un sole che “a settembre mi lascia vestire ancora leggera”. Inizia così, quieto e incantato, il ritorno di Cristina Donà. Sembrerebbe la descrizione di una nuova ultima giornata di sole, ma non lo è: “La quinta stagione” è un disco di profondità che sa farsi magicamente leggera.

“Settembre” è la chiave per entrare: il basso impedisce alle parole di cadere, e la voce ammonisce che “è tempo di imparare a guardare, di ripulire il pensiero, di dominare il fuoco, di ascoltare davvero”. Ed è un ammonimento soprattutto a se stessi: partire dalle proprie forze, e piano piano aprirsi all’esterno.

Cristina lo cantava già dieci anni fa (era il tempo delle chitarre violente di “Ho sempre me” e dei dolcissimi spigoli di “Tregua”, ricordate?), ma mai come ora, davanti alle dieci canzoni de “La quinta stagione”, si ha la sensazione di essere arrivati a un traguardo: quello di essere sofisticati e poetici pur riuscendo ad arrivare a tutti.

Certo, il primo impatto con le armonie aperte di “Universo” e con i ritornelli così lineari di canzoni come “L’eclisse” e “I duellanti” può lasciare spaesati: dove sono le bizzarrie, il giocare a nascondino con la melodia, le soluzioni strumentali sorprendenti?

Beh, non ci sono, non qui. “La quinta stagione” è un disco che non ha paura della semplicità. E una volta capito questo, è come uno scrigno di parole e armonie che si apre. Tutto è levigato, non ci sono strappi, nemmeno quando le chitarre si accendono all’improvviso (tra la batteria che sussurra afasica sotto l’elegia di “Come le lacrime” o nel ritornello di “Niente di particolare”) o quando l’orchestrazione si fa imponente, come tra gli archi e gli ottoni di “Conosci”.

E, dietro a tutto questo, c’è un grande pregio: “La quinta stagione” è un disco che nasce da un dolore profondo, e che trova nella musica la forza per stare bene. Il canto è una terapia, il suono serve a elevare lo spirito, per guardare tutto dall’alto, come il magnifico violino che vola sui panorami sconfinati di “Migrazioni”.

E si parla d’amore, con il sorriso innocente che arriva dopo una sfuriata (la filastrocca tra Yann Tiersen e Artemoltobuffa di “Non sempre rispondo), con metafore sospese tra passione e omicidio (la leggerezza mossa di “Laure”, ispirata da “Il profumo” di Patrick Süskind) e con la voglia di deporre le armi (“I duellanti”, il pezzo che più di ogni altro testimonia la vicinanza con Nada), fino alla voce che esplode euforica in “L’eclisse”, perché ha capito che sa abbandonarsi a un’altra persona: “Nel caso un giorno il cielo esplodesse, tu mi terresti le mani?”.

In pochi minuti, “La quinta stagione” compie il tragitto più difficile: da se stessi alla bellezza dello specchiarsi negli occhi di un’altra persona. E se questo non è un piccolo miracolo, per un disco pop, allora cos’è?

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