BLONDE REDHEAD, “23” (4AD, 2007)

#richiami

“23” è il classico esempio di album che viene compreso meglio nel tempo piuttosto che nell’immediato. All’epoca si era reduci da un album esaltato come “Misery Is A Butterfly” (2004) dove, a parere di praticamente tutti, i Blonde Redhead avevano concluso – e bene – quella, per certi versi, lenta evoluzione verso una forma definita di pop barocco, formalmente bello ed elegante, anche un po’ complicato ma senza gli arzigogoli e le contraddizioni che avevano invece contraddistinto in un modo o nell’altro i primi cinque album della band. E quindi sia il pubblico che la critica, ma soprattutto quest’ultima, erano particolarmente soddisfatti del risultato raggiunto: un gruppo fieramente indipendente, che mai si era svilito in compromessi, piano piano arrivava “al successo” – inteso come riconoscibilità seppure in ambito della musica alternativa – con un disco comunque intricato nel suo essere ampolloso. Fino a “23”, insomma, i Blonde Redhead non avevano mai scelto la strada più semplice.

Quello che parve invece accadere con “23”. Sembrò infatti che in “23” i BR si fossero un po’ troppo compiaciuti del riscontro ottenuto e si fossero un po’ appiattiti verso un “classico pop”, forse un po’ spinti dalla 4AD, etichetta che aveva evidentemente più mire “commerciali” rispetto alla Smell Like Records e Touch and Go. Ma non è così, ed oggi lo si può dire a pieni polmoni.

Il livello compositivo è vertiginoso, l’ispirazione massima e per una volta i BR riescono a canalizzare la loro energia verso lidi sia evocativi (“23”) che diretti ed immediati (“Spring and by Summer Fall”, un brano che diventerà uno dei loro massimi classici). Kazu è ammiccante (“Silently”) e meno minacciosa che in passato, mentre l’elettronica – intesa come piccoli loop e come ambientazioni sintetiche – è usata in maniera fertile e parsimoniosa, e su disco è perfetta, cosa che invece non si rivelerà dal vivo, visto che tutti i live report di quel periodo – compresi quelli qui su Kalporz – sottolineavano che le basi ingessavano la libertà anarchica tipica della band in concerto.

È impossibile trovare un calo di qualità dei brani: “Heroine” è una bolla sempre sul punto di scoppiare al pari di “The Dress” in cui l’elemento di asfissia è massimo, “Top Ranking” è una ballata di una finezza estrema, la conclusiva “My Impure Hair” accompagna l’ascoltatore in lande quasi desertiche, mentre “Dr Strangeluv” e “SW” sono i due episodi più in linea con il passato prossimo, quello barocco di “Misery…”, a dimostrazione che i newyorkesi non erano arrivati a “23” per caso, ma sfruttando pur sempre la loro esperienza e natura.

Personalmente “23” mi piacque fin da wsubito, e molto, ma quel lato di immediatezza mi faceva pensare a un minor valore dell’album, come se la sua natura comunicativa, e dunque pop, fosse un difetto. Oggi, semplicemente, dico che “23” è uno dei vertici di Kazu e dei gemelli Pace, sicuramente il loro top per compattezza ed entusiasmo.

84/100

(Paolo Bardelli)