Kalporz Awards Albums 2020

Il 2020, ovvero l’anno che non c’è. Ma la musica c’è stata, anche per farci compagnia nei più o meno lockdown, quarantene e sfighe varie. Come è attestato da oramai molti anni a questa parte, leggendo le classifiche già pubblicate ci sono molte direzioni – e questo conferma l’enorme produzione musicale nella quale si fa fatica ad orientarsi – ma qualche album è stato veicolato piuttosto trasversalmente.
Spin, Pitchfork (con una sorprendente Waxahatchee seconda), Volture e AlbumOfTheYear hanno puntato su Fiona Apple (ed è l’album che ricorre di più tra le varie charts), album dell’anno per NME (che allora non è vero che è fermo al brit-pop…) e Riff Magazine è stato “RTJ4” dei Run The Jewels, a Popmatters e Esquire è piaciuto di più “Punisher” di Phoebe Bridgers (la Apple seconda), scelta controcorrente per The New York Times con “The Ascension” di Sufjan Stevens (e sempre Fiona seconda), Rolling Stone , Insider, il Time e il Los Angeles Times optano per Taylor Swift, “Folklore” (che quindi è l’album più “nazional-popolare” negli States), The Vinyl Factory mette insieme due uscite dei Sault (Black is / Rise) , mentre infine si distacca dagli altri The Quietus con Hey Colossus, “Dances/Curses”.
E Kalporz? Beh, la nostra classifica è sempre bellissima… A parte le battute, quando la finiamo, facciamo i conti e la scopriamo, commentiamo sempre che ci rappresenta molto bene. Siamo noi.
Buona lettura allora, e guardiamo avanti fin da subito, che ce n’è bisogno.


20. Nazar – “Guerrilla”

Fosse uscito in un anno qualsiasi, “Guerrilla” sarebbe stato semplicemente un ottimo disco di ‘deconstructed-club music’, ma le condizioni straordinarie di quest’anno gli conferiscono un’ulteriore layer, lasciando l’ascoltatore perdersi nei riverberi e nei sample di un mondo che era e che oggi è, letteralmente, decostruito.

Ascolta “Guerrilla”:


19. Metz – “Atlas Vending”

“Questo qui è uno dei dischi dell’anno. Qualche cosa si continua a muovere anno dopo anno dalle parti della Sub Pop Record e succede in maniera discontinua, come è giusto che sia in un contesto che non vuole essere rassicurante ma una vera e propria chiamata alle armi cui si vuole sempre rispondere: “presente””.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Atlas Vending”:


18. Jeff Parker – “Suite For Max Brown”

La International Anthem è la realtà discografica più importante del jazz contemporaneo. Non è un caso quindi che “Suite for Max Brown” sia stato pubblicato dall’etichetta di Chicago in collaborazione con la Nonesuch Records. Il lavoro di Jeff Parker, come pochi altri, sa guardare al futuro: partendo da un passato analogico elabora un presente digitale e futuribile. In divenire.

Ascolta “Suite for Max Brown”:


17. Tame Impala – “The Slow Rush”

“Se qualcuno potrebbe lamentare una mancanza d’adrenalina nel corso della tracklist, è perché Parker ha voluto direzionare la sua peculiare visione della musica su un versante più rilassato e, se possibile, ancora più onirico rispetto al passato. E lo fa centrando ancora una volta il colpo e confermandosi sempre più come l’autorità che è diventata nel panorama musicale internazionale”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “The Slow Rush”:


16. Kelly Lee Owens – “Inner Song”

Kelly Lee Owens ha la capacità di saper rimanere in quel limbo che dovrebbe esistere, ma che prima di lei non conoscevamo, tra la newage e la techno berlinese, ed è una sensazione piacevolissima di godimento e divertimento. Con “Inner Song” consolida le idee dello strepitoso (e forse non superato da questa prova) primo suo album omonimo, raggiungendo però più persone.

Ascolta “Inner Song”:


15. Bob Dylan – “Rough and Rowdy Ways”

“In “Rough and Rowdy Ways” Dylan compie più viaggi, sia fisici che mentali. (…) Tutto sembra così fragile, e “Rough and Rowdy Ways” cerca di fissare in vitro questa fragilità. Pur parlando in codice, Dylan si racconta con una sincerità rara, come poche volte ha fatto nella sua vita. Quando in “Mother of Muses” sussurra “Forge my identity from the inside out” è il momento dell’agnizione, l’attimo in cui Dylan riconosce la sua stessa grandezza e noi riconosciamo lui. E intanto lui dipinge paesaggi, dipinge nudi, contiene moltitudini”
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Rough and Rowdy Ways”:


14. Lorenzo Senni – “Scacco Matto”

“Un’altra elettronica è possibile, parafrasando il sottotitolo della storica sitcom italiana Boris. E dobbiamo essere orgogliosi che a guidarla, oggi, sia un atipico ragazzo italiano, che riesce a coniugare amore per la ricerca e la sperimentazione con la musica vera, quella che colpisce al cuore e scuote i sensi delle persone che la ascoltano. Lorenzo Senni è tutto arrosto e poco fumo, e con umiltà e intelligenza è riuscito ad arrivare nel pantheon della scena attuale senza snaturare o commercializzare il suo messaggio”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Scacco Matto”:


13. Mac Miller – “Circles”

“Mac Miller rimane in equilibrio tra depressione e liberazione, tra dannazione e salvezza. “Everybody’s gotta live / And everybody’s gonna die / Everybody just wanna have a good, good time / I think you know the reason why”, canta in “Everybody” e ci riporta alle semplici verità della vita: tutti vogliono divertirsi perché sanno, prima o poi, di dover morire. Che poi non è la questione alla Troisi di segnarcelo o meno, il fatto è che Mac ce lo dice con una tale leggerezza che gli crediamo”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Circles”:


12. Empress Of – “I’m Your Empress Of”

“niente è sacro, tutto è profano, o forse anche prosaico. Ed Empress Of è tra le cantautrici odierne più profonde in questa materialità”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Empress Of, “I’m Your Empress Of”


11. Sevdaliza – “Shabrang”

“Shabrang è la forza di oltrepassare vergogna, dolore e paura fino a mostrare con orgoglio la propria umanità e le proprie ferite; ma restano molte altre chiavi di lettura da scoprire, ascolto dopo ascolto, in un album che forse renderà questo settembre meno amaro”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Shabrang”:


10. Nicolas Jaar – “Cenizas”

“Il baritono di Jaar sembra arrivare direttamente dalle profondità di non si sa che dirupo, arrampicandosi stentamente su una parete di rumori e glitch. La cima sembra non arrivare mai, così come non c’è sostanzialmente mai traccia di un vero e proprio drop, che distenda l’inquietudine che si accumula in quasi un’ora di musica (…). Forse risorgere dalle ceneri non è possibile, ma alla fine di un disco spettrale, nel bel mezzo di periodo lugubre, si può tornare a ballare”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Cenizas”:


9. Perfume Genius – “Set My Heart On Fire Immediately”

“Guardatelo ora, Mike Andreas, sulla copertina del disco, a torso nudo e macchiato di olio di motore, con quello sguardo feroce e battagliero. Guardatelo mentre si rotola a terra sporco di terriccio o mentre inscena una coreografia che assomiglia ad un duello all’ultimo sangue. Guardatelo, mentre per la prima volta affronta a viso aperto quegli immaginari mascolini e machisti che ha sempre avvertito repulsivi e minacciosi: ora addirittura li sfida, li incarna, e ne cambia radicalmente i connotati simbolici. È una conquista la sua. Una liberazione. È l’ennesima metamorfosi. Perfume Genius è di nuovo un’altra persona”
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Set My Heart On Fire Immediately”:


8. Caribou – “Suddenly”

“Ho la sensazione che l’uscita dal focus dei riflettori congiuntamente alla diversificazione delle proposte (Caribou da una parte e, appunto, Daphni dall’altra) non stia facendo male al ragazzo, che a 42 anni sembra lo stesso vecchio di quando era giovane, quindi ok. Ed è quello che accade pari pari alla sua musica: Caribou aveva la capacità di ricreare il sapore agrodolce della nostalgia anche quando esprimeva un suono più “contemporaneo”. Figuriamoci quanto gli viene bene ora che su queste sue composizioni si stende una patina naturale che le rende magnificamente sfuocate”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Caribou”:


7. Moses Sumney – “græ”

“In tutto l’album la tensione intercorre tra gli opposti e tra i simili, in un’instancabile dialettica tra le diverse parti che costituiscono l’io dell’artista e il suo rapporto con quelle dell’io di chi lo circonda: in “græ” Moses Sumney scompone se stesso, gli altri, il mondo, per poi ricomporre tutto nel finale di un nuovo linguaggio che promette un modo di fare musica lontano dal grigio”.
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “græ”:


6. Run The Jewels – “RTJ4”

“Chiamarli profeti è riduttivo”
— (dalla nostra recensione, molto più lunga e articolata di questa citazione, che puoi leggere qui)

Ascolta “RTJ4”:


5. Fiona Apple – “Fetch The Bolt Cutters”

“È pop di pregevole fattura, per quanto costruito su un’intelaiatura fatta di dissonanze e suoni ruvidi. È rischioso parlare di minimalismo, data la quantità di elementi, ma è altrettanto impossibile parlare di pomposità. Forse l’aggettivo più giusto è misurato”
— (dalla nostra recensione, che puoi leggere qui)

Ascolta “Fetch The Bolt Cutters”:


4. Sault – “Untitled (Black Is)”

A quanto pare sono in quattro, le loro identità sono abilmente celate, ma siamo piuttosto certi che non si tratti di un nuovo progetto parallelo di Damon Albarn. In uno degli anni più duri e significativi per l’internazionale anti-razzista nata sul web arriva da una naziona scossa da cambiamenti a dir poco drammatici, ma in grado come in poche altre epoche del passato di offrire tante eccellenze musicali ricche di contaminazioni e crossover culturali dove è la musica nera e le sue radici africani a brillare, dalla grime all’afrobeat. “Untitled (Black Is)” dei Sault è un disco che parla del presente fatto uscire non a il 19 giugno, quando si celebra il cosiddetto Juneteenth, la data che in America è stata scelta per ricordare l’abolizione della schiavitù. Psichedelia R&B, echi soul e UK funky, gli stessi che hanno dato un’impronta inguaribilmente black all’elettronica contemporanea britannica. Senza troppi proclami nel quarto disco dei Sault (secondo dello stesso anno, dopo i due lavori del 2019, “5” e “7”) hanno scritto l’equivalente british di “Black Messiah” di D’Angelo. Ma nelle venti tracce di “Untitled (Black Is)” non ci sono eroi né messia, ci sono storie di tutti i giorni che prima o poi vorremmo tutti quanti lasciarci indietro.

It’s a hard life, fight against the weak
It’s a hard life, threatened by our freedom
Be on your way
Things are gonna change

Ascolta “Untitled (Black Is)”:


3. Fontaines D.C. – “A Hero’s Death”

La materia grezza è il rock che conosciamo, ma lo svolgimento è inevitabilmente attuale: per uno strano incrocio temporale i Fontaines D.C. riescono a migliorare il primo album rendendo “A Hero’s Death” meno fragoroso del precedente ma più a fuoco, tra ballate notturne e un’attitudine ardimentosa che va oltre il post-punk.
— (Leggi anche “A Hero’s Death” dei Fontaines D.C., il primo ascolto“)

Ascolta “A Hero’s Death”:


2. Arca – “KiCk i”

Alejandra Ghersi è un’artista che dà l’impressione di avere le idee chiarissime sul suo ruolo di autrice di prodotti artistici. Non possiamo relegare solamente alla casualità o alle coincidenze il fatto che l’episodio più accessibile della sua discografia pubblicata finora, questo “KiCk i”, inizi con queste parole: «I do what I wanna do when I wanna do it». L’album di Arca pubblicato quest’anno segna infatti il raggiungimento di un equilibrio perfetto, coerente e narrativamente denso, tra le istanze che l’artista venezuelana ha mostrato, ad intensità variabili, fino ad ora. C’è la sperimentazione, c’è il pop, c’è la musica tradizionale latina, e ci sono soprattutto idee: un disco che ha a che fare con l’orgoglio identitario, l’importanza dell’arte come strumento comunicativo all’interno della società, il riscatto dei non allineati.
— (Leggi anche “La musica di Arca tra utopia, fantascienza e queerness“)

Ascolta “KiCk i”


1. Yves Tumor – “Heaven to a Tortured Mind”

““Heaven to a Tortured Mind” è il risultato dell’ultima trasfigurazione di Sean Bowie che abbraccia con più decisione quei torbidi, corrotti e perversi scenari glam-rock che ha portato sul palco nei mesi in cui portava a termine la registrazione del disco. E molto altro. Degenerato, lascivo, volutamente sopra le righe, a volte in una maniera che può sembrare artificiosa e costruita, alla costruzione del personaggio Yves Tumor si affiancano idee e canzoni che lasciano decisamente il segno. Yves Tumor ha traviato ancora una volta tutti. E mentre si cercherà di dare una chiave di lettura a questa svolta. siatene certi, lui ne avrà già trovata un’altra”
— (dalla nostra recensione dell’album, che puoi leggere qui)

Ascolta “Heaven To A Torturated Mind”:


KALPORZ AWARDS HISTORY (ex Musikàl Awards):
Kalporz Awards 2019 (Tyler, The Creator)
Kalporz Awards 2018 (Idles)
Kalporz Awards 2017 (Kendrick Lamar)
Kalporz Awards 2016 (David Bowie)
Kalporz Awards 2015 (Sufjan Stevens)
Kalporz Awards 2014 (The War On Drugs)
Kalporz Awards 2013 (Kurt Vile)
Kalporz Awards 2012 (Tame Impala)
Kalporz Awards 2011 (Fleet Foxes)
Kalporz Awards 2010 (Arcade Fire)
Kalporz Awards 2009 (The Flaming Lips)
Kalporz Awards 2008 (Portishead)
Kalporz Awards 2007 (Radiohead)
Kalporz Awards 2006 (The Lemonheads)
Kalporz Awards 2005 (Low)
Kalporz Awards 2004 (Blonde Redhead, Divine Comedy, Franz Ferdinand, Wilco)
Kalporz Awards 2003 (Radiohead)
Kalporz Awards 2002 (Oneida)
Kalporz Awards 2001 (Ed Harcourt)