THE STROKES, “Angles” (Rough Trade, 2011)

Non pensavo fossero loro. E invece poi, sì che erano loro: gli Strokes, con il loro ultimo “Angles”, ovvero angoli, angolazioni, punti di vista, come suggerisce la cruci-copertina su sfondo giallo senape + scala di Escher in tonalità di viola e azzurro poggiata sopra. Dentro ci ho trovato assolutamente nulla di nuovo, anzi, ma che volevano fare questi? Che la scala di Escher stia per una rimpatriata dopo un po’ di gozzoviglia in giro (puoi fare e andare dove ti pare alla fine è qui che torni a dar conto di tutto)? Perché intanto che gli anni scorrevano questi qui non è che se ne siano stati a smacchiare le coccinelle, pare che le carriere soliste li abbiano distratti in modo significativo se l’ultima uscita risaliva al 2006.

In “Angles” ci ho trovato le tipiche chitarrelle elettriche a radiolina, solo un po’ più giù di corda, reminiscenze di sound 80’s (“Games”), il new wave senza forzature, cioè Ian Curtis tenuto a bada nella tomba dalla presenza di Casablancas (“You’re So Right”), il progressive tropicaleggiante che a un certo punto appalla (“Call me back”). “Machu Picchu” è il pezzo che apre l’album e che avverte sulle intenzioni degli Strokes: tornare dall’alto di vecchie cime Inca con lo stoppato funky hot chili e una voce calda in hertz che quasi scintilla. Tutto in modo pulito e casual, niente porcate alla Red Hot. Però il puzzo di scarpe da ginnastica e jeans sventrati un po’ lo senti. A seguire “Under Cover Of Darkness”, dicono “puro sound Strokes degli esordi”, e primo singolo estratto. Sul podio della tracklist anche “Two Kind Of Darkness” (se ti senti vagamente new wave, così, senza impegno, puoi metterla su). “Metabolism” è talmente struggente che l’ho passata avanti, m’ha inquietato. Prodotto in fretta e furia nello studio del chitarrista Albert Hammond Jr., come testimoniano alcune riprese reperibili in giro, “Angles” è la loro quarta fatica. Prima di questa “Is This It” (2001, successo e tour mondiale), “Room on Fire” (2003, quello di “12:51” e “Reptilia”) e “First Impressions of Earth” (2006, quello della voce di Casablancas senza hertz e scintille).

C’è davvero poco da dire, a parte che sono loro, gli Strok’s. Hai a che fare con la band di Julian Casablancas (voce), Nick Valensi (chitarra) e Fabrizio Moretti (drum), poi ampliatasi a cinque con l’ingresso di Nikolai Fraiture al basso e Albert Hammond Jr. alla chitarra. Quelli di cui dieci anni fa il New Musical Express ha detto “i più grandi ‘bastardi’ che ci siano in giro al momento… Ci hanno mandato al tappeto con la passione e la purezza romantica del punk-rock di New York, gli Strokes avanzano spavaldi con l’aria di poeti della strada che hanno mandato in pezzi la canzone pop, per sostituirla con la rabbia, l’incomprensione, l’odio, la libidine”. Gli Strok’s, quelli di “Someday” in “Cambia la tua vita con un click” di Adam Sandler, quelli di “Reptilia” nel videogioco Guitar Hero 3. Sono loro, e come conclude Tommy in Trainspotting, parlando delle cappellate di Begbie: “È un amico, che vuoi farci”.

50/100

(David Capone)

Collegamenti su Kalporz:
The Strokes – First Impressions Of Earth
The Strokes – Concerto al Transilvania Live (Milano) (15.12.2005)
The Strokes – Room On Fire
The Strokes – Concerto a Milano (12.03.2002)
The Strokes – Is This It

12 aprile 2011

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