SERA CAHOONE, Only As The Day Is Long (Sub Pop / Audioglobe, 2008)

“Only As The Day Is Long” è il secondo disco, inciso per Sub Pop, della folksinger trentenne di Seattle Sera Cahoone. È la solita musica nu country acustica-agricola americana che tanto piace ai post-postmodernisti europei e a chi ha abbandonato la Gibson per le lezioni di scacchi: chitarre, grancasse, armoniche, banjo, violini e pedal steel che ordiscono trame lievi e tradizionalmente remote, fragili ballate, tutte sussurri e pigrizia tonale alla Cat Power, e nenie pop-country, che sembrano l’inno alla dolce e pacificata rassegnazione di chi non agisce né reagisce più (ma vuole essere alla moda almeno tra gli sfigati).

Le motivazioni estetiche che giustificano la collaborazione di quest’artista con l’etichetta del grunge sono tutte sintetizzabili nel nome di Iron & Wine, campione dell’ultima rivoluzione (atavismo?) folk, che ora è trend indiscusso e vettore poetico per la nuova generazione di cantautori americani. Certo, il disco della Cahoone ha carattere e sa scorrere bene, lasciandosi ascoltare (o sentire), dalla prima alla decima traccia, come fosse un brano unico: come un grappolo d’uva, dove ogni chicco vale l’altro e pur non esprimendo un sapore sensazionale, ben si lascia assaporare senza appesantire. Difficile, per questo motivo, isolare nell’intero lavoro i pezzi migliori da quelli meno riusciti. Se piace la malinconica dolcezza del primo brano “You Might As Well” è matematico che l’ascolto dell’intero album risulterà dilettevole; se, al contrario, questa roba roots vi annoia o proprio vi fa schifo, è meglio non aspettarsi sorprese o impennate di creatività nelle tracce successive.

Il timbro apatico e tiepido di Sera può cullare o narcotizzare: questione di gusti. Sicuramente, non può stupire o entusiasmare, trascinare il genere verso nuove prospettive o paragonarsi competitivamente ai numi tutelari del vecchio country western. La ragazza con la chitarra vuole cantare le sue malinconie senza rivoluzioni. È la solita storia. Il gioco dell’intimismo funziona meglio quando la voce si lascia doppiare dai tragici (e curatissimi) archi o si nasconde tra gli arpeggini di chitarra, raggiungendo un effetto più orchestrale e ben arrangiato (“Shitty Hotel” e “Tryin'”), e nel contrasto tra piano linguistico e musicale (i testi della cantautrice sono allegri come Leopardi che legge Pascal).

Il resto è trionfo e pascolo di chitarre resofoniche e slide (“Runnin’ Your Way”) e alt-country alla Uncle Tupelo e folk stilizzato alla zio Bob Dylan (“Happy When I’m Gone”). “Only As The Days Is Long” è un disco per folksters in delirio georgico e probabilmente cinque anni fa la Sub Pop non lo avrebbe mai prodotto, ma le mode vanno e vengono e solo il tempo ci svelerà dove andrà a finire questa cantautrice: ingenuità o furbizia?

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