THE GENTLEMEN’S AGREEMENT, Let Me Be A Child (Materia Principale, 2008)

L’esordio dei Gentlemen’s Agreement è una di quelle buone notizie che la Gabanelli annuncia col sorriso al termine di una puntata di Report. Sono un complesso (ma sì, usiamo questa parola) che ha una missione, salvare le nostre grigie giornate, e una visione: immaginate che un giorno nell’aldilà Mick Jagger e Keith Richards tornino bambini, un po’ Tom Sawyer e Huckleberry Finn, che con salopette e paglietta scorrazzino per campi e prati, tra mucche e oche, e imbraccino a fine giornata chitarra e banjo nella piazzola polverosa davanti alla stalla, dove le mamme preparano la tavola per accogliere chi torna finalmente dal raccolto. Immaginate ancora, per dare un profumo al tutto, che Mick e Keith siano entrambi innamorati della stessa ragazzetta, Sue, quella biondina che vedono passare tutti i giorni mentre pedala spensierata, scampanellando ai cani e salutando con la mano la gente del villaggio che ricambia allegra. “Let Me Be A Child”, in fondo, non è altro che questo, e non è affatto poco.

Veniamo accolti in questo piccolo miracolo dalla madre sannita di tutti gli sberleffi, la pernacchia, a lanciare il boogie paradisiaco di “Hay Rick”, chitarre e armonica, battiti di mani e la vostra bella presa sotto il braccio per iniziare le danze. E si capisce subito che la campagna tratteggiata dai nostri non è quella della fatica e dello sfruttamento denunciata dai Napoli Centrale, ma nemmeno quella inquinata del casertano, dove pascolano bufale e malaffare. La musica è scanzonata, tra ottoni bluegrass e Modugno, come in “I Can Do It My Friends” e “Gipsy”. Poi c’è quel delizioso quadretto di “The Sea” e l’operazione Beirut sembra veramente ad un passo, prima che in “Kinderdijk” i Belle & Sebastian si occupino di musicare la pedalata di Sue tra i sentieri delle dolci colline, col campanello della bici che sveglia il ricordo di Paul Newman che porta a spasso la sua amata seduta sulla canna, mentre canticchia “Raindrops Keep Falling On My Head”. Arriva Sue e i due rivali si ringalluzziscono sfidandosi in una “Let’s Go Farmer” lanciata a mille ed è proprio qui, in questo momento, che vi rendete conto che quello che vedete fuori dal finestrino della vostra auto non è il traffico della città, ma solo un pessimo sogno…

Ok, calma, riprendete fiato, ancora un paio di brani per ritrovarsi a pascolare ad occhi chiusi, “Mr Grape” porta il Mississipi a scorrere pigramente dalle nostre parti e a fare da sfondo al litigio furioso di “Down”, con Mick e Keith a darsele di santa ragione in un r’n’r rabbioso e furente, quando poi l’arrivo della “Blonde Country Girl” sorprende i due nella zuffa polverosa, portando con sé una ventata di spensieratezza e ottoni che appuntano un canto d’amore.
Più tardi, calato il sole, la comunità è tutta riunita nello spiazzo davanti alla stalla, i grandi festeggiano, ballano al suono di trombe e fisarmoniche, ascoltano storie e una “Cherry the Tightrope Walker” che fa sognare persino la lontana Parigi.
Dietro la stalla, però, lontano dalle luci e dalle voci, sembra proprio con “Fever” che uno dei due amici l’abbia spuntata con la deliziosa Sue e passi finalmente dall’infanzia all’adolescenza. L’altro invece si rode il fegato sfogandosi sulle corde di una chitarra diretta alla pancia e alla luna, che da sola ascolta il lamento blues della sua sconfitta. Alla fine, nastri al rovescio riavvolgono il discorso e il sogno termina in un attimo. Un gioiello che chiude un esordio fulminante. Procuratevelo.

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