SONIC YOUTH, Murray Street (Geffen, 2002)

A dimostrazione dell’incredibile vitalità dei Sonic Youth esce, a soli due anni di distanza da “N.Y. Ghosts & Flowers”, il nuovo album del gruppo newyorchese. La band, che si presenta con la conferma dell’integrazione nell’organico di Jim O’Rourke, appare veramente in buona forma. Come d’abitudine il prodotto esce per la Geffen (utilizzata per i lavori destinati al “vasto” pubblico, mentre per le registrazioni più sperimentali si passa sempre attraverso la Sonic Youth Records), ma risulta prodotto dal quintetto e registrato e mixato da Jim O’Rourke.

Chi si aspettava un suono rivoluzionato proprio grazie all’arrivo del geniaccio di Chicago, rimarrà abbastanza deluso. Dopotutto l’aveva dimostrato già la tournée dell’anno passato; l’identità musicale di O’Rourke non è tesa a stravolgere il lavoro ventennale di Moore e compagnia, anzi, si amalgama alla perfezione e tutt’al più va a coprire alcune zone rimaste scoperte nell’intelaiatura musicale. Il che rende l’insieme più ricco, andando ad evitare il pericolo della noia e donando ancora più forza alle canzoni.

Come dimostra l’attacco di “The Empty Page”, che ricorda il periodo magico di “Daydream Nation”. Perfetto come brano di lancio, semplice, lineare, accattivante, giocato su un suono liquido e mai particolarmente distorto, “The Empty Page” corre il rischio di creare aspettative che non verranno confermate dal resto dell’album. Ma basterà ascoltare la lunga coda di “Disconnection Notice” – che va a salvare una canzone che avrebbe altrimenti corso il rischio di finire facilmente nel dimenticatoio – per capire come i Sonic Youth non abbiano ancora perso la loro voglia di esplorare, di perdersi nel flusso delle note e di abbandonarvisi completamente.

A chi poi fosse ancora in dubbio sulla questione, basterà arrivare con l’ascolto a “Karen Revisited” e “Radical Adults Lick Godhead Style”, ovvero due tra le più alte punte mai raggiunte dal gruppo del Downtown, Manhattan. La prima presenta da principio un ottimo crescendo strumentale e vocale (la canzone è cantata da Lee Ranaldo), prima di arrestarsi improvvisamente, quasi che il suono cadesse in una voragine senza fondo lasciando il posto ad un rumore angoscioso, prodotto da due chitarre distorte e da un riverbero con un sottofondo della batteria, estenuante e incessante, che porta il tutto ad un graduale annullamento del rumore, sorta di necessaria catarsi (nel senso tragico e greco del termine). Catarsi che si concretizza nella seguente “Radical Adults…” ecc., sempre cantata da Moore con un trasporto che si lega perfettamente alla sonorità essenziale e trascinante, sempre in bilico tra l’esplosione e l’involuzione. Due perle che insieme alla conclusiva “Sympathy for the Strawberry” – dove si nota forse maggiormente la mano sapiente di O’Rourke, nel disegnare uno splendido scenario strumentale perfettamente a cavallo fra i fantasmi newyorchesi del precedente lavoro dei Sonic Youth e i passaggi folk-rock del suo “Insignificance”, prima dell’irrompere della voce profonda di Kim Gordon – valgono da sole il prezzo dell’album.

Un album dove si notano anche le influenze di gruppi come Unwound e Papa M, ma dove si nota (soprattutto) la forza dirompente di Gordon, Moore, O’Rourke, Ranaldo e Shelley (messi diligentemente in ordine alfabetico) e la loro voglia di poter parlare ancora a lungo. E di saperlo fare.

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