SPARKLEHORSE, It’s a Wonderful Life (Capitol Records, 2001)

Scrive delle canzoni profondamente tristi Mark Linkous, l’uomo che si nasconde dietro il nome Sparklehorse. Più o meno le canzoni più tristi che possiate immaginare, qualcosa di così malinconico che non riuscirete più a togliervi di dosso quella sensazione. Un po’ come altri musicisti depressi di questi tempi, come Bill Callahan degli Smog, Will Oldham dei Palace e di qualunque nome si sia scelto. Con una piccola, ma decisiva differenza: Linkous ha il gusto della canzone pop. Riesce cioè a scrivere delle grandi e tristissime canzoni pop. Ecco la differenza.
“It’s a Wonderful Life”, una citazione da Frank Capra, ma anche una bella dose di ironia, è il suo terzo lavoro, giusto a tre anni di distanza dall’ultimo “Good Morning Spider” e a sei dallo stupefacente esordio di “VivaDixieSubmarineTransmissionPlot”, un disco tanto bello quanto impronunciabile. Non ci sono grandi sorprese né improvvisi sconvolgimenti. Solo ci sono meno rumori di fondo, meno interferenze e scricchiolii e meno bassa fedeltà rispetto la passato. E le canzoni non hanno mai suonato bene come adesso. Merito del mago della produzione Dave Frindmann, già insieme a Flaming Lips, Mercury Rev, Mogway, Elf Power e altri ancora, merito di una scrittura forse mai così ispirata. Quindi meno trucchi, ma tante canzoni che potrebbero venire dalla penna di Neil Young, se fosse nato vent’anni dopo.

Per l’occasione accorrono parecchi ospiti ad aiutare gli Sparklehorse. Tom Waits, innanzitutto, che canta e suona qualcuna delle sue diavolerie nella indiavolata “Dog Door”, un incedere da blues destrutturato come nel suo “Bone Machine”. Poi P.J. Harvey, insieme a John Parish, che canta nella bellissima e sporca “Piano Fire”, che incrocia melodia e rumore come i Dinosaur Jr facevano un tempo, e nella desolata “Eyepennies”. E poi la sorpresa di trovare Nina Persson dei Cardigans ad intonare la dolcissima “Gold day” e “Apple Bed”, e Adrian Utley dei Portishead che compare in tre brani. Non che Linkous ne avesse davvero bisogno. Se la cava benissimo anche da solo, come dimostra nel brano che apre e intitola il disco, una classica ballata spoglia, dove suona chitarra, optigan e si occupa dei campionamenti. Oppure come quando si affida ai vecchi collaboratori di sempre, come nel perfetto ritornello pop di “Comfort Me”.

Ma la canzone forse più toccante arriva quasi alla fine ed è “Little Fat Baby”, una melodia dolcissima appoggiata sulla chitarra di Linkous e su un ritmo pigro, che si arresta per un ritornello sospeso tra un piano e gli archi. Stupefacente. Ecco cos?è “It’s a Wonderful Life “, una collezione di grandi canzoni.

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