AA.VV., Magnolia Parade, Milano (sabato 4 settembre 2010).

Milano è incomprensibile: ha la possibilità di essere all’avanguardia ospitando i migliori nomi che, per comodità, scendono dall’Europa, fanno una fermatina lì e poi ritornano su e dà l’impressione che non se ne accorga. O, molto peggio, che non lo capisca. L’accoglienza riservata ad Apparat dal pubblico del Magnolia Parade è stata esemplificativa: pubblico stranito, distratto, quasi un po’ infastidito, con l’apice di un tizio che passa e dice: “Facci la techno”. Apparat stava suonando in quel momento un djset (non un live come invece dicevano le locandine) particolare, un po’ d’atmosfera, sicuramente più adatto ad un club al chiuso e ad una location più raccolta ma in ogni caso una selezione di una classe immensa. E il pubblico troglodita – sì, è proprio il caso di usare questo termine – non se ne accorgeva, chiacchierava come dei bifolchi qualsiasi per risvegliarsi un secondo solo se c’era un timido accenno di cassa continua. Sarebbe stato meglio se ne fossero tornati nelle discoteche sul lago dove “piovono bottoni”, molto meglio.
Dispiace fare la filippica ma è inevitabile quando da una parte c’è una cosa bella e dall’altra una mandria di soggetti inqualificabili che l’unica parola che capiscono è “cuba libre”: Apparat si è destreggiato tra alcuni pezzi del progetto Moderat (una “Rusty Nails” strumentale che però senza cantato è meno focalizzata, una “Seamonkey” ipnoticamente crescente) e altri suoi (“Fractales, Pt. 1”) mantenendo una linea fondante scura, avvolgente, da sguardo basso e occhi chiusi.

Aveva iniziato il sabato della Magnolia Parade la band danese degli WhoMadeWho, autentica rivelazione con i suoi falsetti sopra giri di basso anni settanta e tempi simil-funky che potrebbero ricordare alcune cose di Prince o dei N.E.R.D.: divertenti. Soprattutto perché dopo aver fatto cantare con “Space For Rent” e aver dimostrato che con gli strumenti ci sanno fare si sono accerchiati attorno alle macchine, groovebox, laptop e chincaglieria varia per lanciarsi in alcuni brani dalle dinamiche alla 2Many Dj’s: potenziometri up, potenziometri down, fischi al limite del larsen per marcare i lanci, insomma tutto il tipico campionario praticamente inventato dai fratelli Dewaele che ora, evidentemente, sta diventando patrimonio di altri che hanno imparato da loro. Da notare che solo i musicisti paiono riuscirci (e i 2Many Dj’s lo sono, come si sa, come Soulwax) mentre è più difficile per chi è solo dj. Per il bis gli WhoMadeWho tornano sul palco e, “siccome siamo qui in Italia”, partono con la loro rielaborazione (riuscita) di “Satisfaction” di Benny Benassi.
In mezzo tra i danesi e il berlinese hanno infiammato la folla i Motel Connection: Samuel ha il solito suono indecente di chitarra ma di certo sono migliorati da una lontana tournée in cui praticamente mi addormentai su una collinetta ad ascoltarli. Nessuna ricerca, i Motel Connection puntano alle viscere e ci arrivano, anche se a volte sfruttano anche le cover per farlo (“Blue Monday” dei New Order, evvabhé, così sono capaci tutti…).

Pensierino finale: in Italia funzionano di più i Motel Connection che Apparat, e questo è esemplificativo dei mali atavici del nostro Paese dal punto di vista musicale.

(Paolo Bardelli)

6 settembre 2010

Collegamenti su Kalporz:
News “2Many D’js, Crystal Castels, Teatro degli Orrori, Chrome Hoof, Apparat al Magnolia Parade” (19.08.2010)
Moderat Moderat
Motel Connection – A/R Andata + ritorno
Motel Connection – Intervista (23-1-2003)
Motel Connection – Concerto a Torino
Motel Connection – Concerto alla “Casa 139” (Milano)

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