PANTHA DU PRINCE “XI Versions of Black Noise” (Rough Trade, 2011)

Si dice, si dice… Che “Black Noise” sia stato un grande album. Importante. E non si capisce che e perché ancora si dica su qualcosa che riguarda l’evidenza. Come al solito pare più allettante l’apparenza che si crea intorno al concetto che il concetto stesso. Una sorta di neoplatonismo del gusto. Lui è Hendrik Weber aka Pantha du Prince, produttore tedesco che mischia con elegante dovizia minimalismo, microhouse, electro, atmosfere dark e malinconia shoegaze, quel pochino di dubstep che fa giovanedoggi e snobismo da artista della Rough Trade che dà proprio un certo tono. Pura stilizzazione modernista, un po’ cool e un po’ sfighe, precisamente in bilico tra piacere intellettuale (sofisticato) e piacere fisico (becero).

E in ambito electro piace molto la storia del remix. Quando un album funziona va spremuto in tutti i modi possibili: bisogna remixarlo, non ci stanno santi. Pantha, che è un tipo alternativo e ha amici molto alternativi, decide quindi per un remix alternativo. Cede le sue tracce a mani anestetiche, per creare un album ancora più minimale e cupo dell’originale, pieno di echi e di meditazioni sonore di opaco fascino. Puntando all’ossessività più che altro. Gli ospiti remixanti sono di altissimo livello: “XI Versions Of Black Noise” ha come protagonisti Four Tet, Lawrence, Walls, Carsten Jost, Efdemin, Die Vögel, Moritz Von Oswald, Fata Morgana e gli Animal Collective (già presenti nell’originale tramite Panda Bear, voce di “Stick to My Side”). Si lavora tanto, troppo, su “Stick to My Side”, che è il brano più gettonato dagli ospiti. Ma i risultati non sono affatto male, o ripetitivi. Lo stesso Pantha si auto-remixa in “Lay in A Shimmer”, dando il solito risalto a frequenze medie, silenzi, microsuoni e percussioncine riverberate. Tra gli episodi più interessanti c’è sicuramente la manipolazione psichedelico-atmosferica di “Stick To My Side” dei Walls, trasformata in un’irriconoscibile improvvisazione per chitarra, xilofono e rumorini concreti, in zona post-rock, o giù di lì. Più solita (e quasi tamarra) la versione del brano data da Efdemin, con grandi bassi e cassa alla 20 Fingers (non vi ricorda un po’ quel grande e raffinatissimo successo euro pop che fu “Short Dich Man”?). Gli Animal Collective giocano a pandabearizzare e mùmmizzare le percussioni di campane di “Welt Am Draht”, dando vita a una coda semi industriale davvero gustosa. Lo stesso brano viene scomposto dagli uccellacci Die Vögel, che come loro consueto sorprendono e affascinano con sfiziose trombette, bassi profondi e orchestrazioni giocattolo.

L’intero disco risulta un buon sottofondo. Niente di più. E ascoltarlo con più attenzione o più pretese magari potrebbe deludere. Come dire che nessun Ulisse si farebbe legare all’albero per ascoltare queste sirene. Sono vecchie, o già conosciute…

55/100

(Giuseppe Franza)

17 maggio 2011

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