CUT COPY, “Zonoscope” (Modular, 2011)

Cut Copy - Zonoscope (2011)Certo che passare da idoli degli snob dell’electro a ricevere un messaggio da Lady Gaga in persona per fare da supporto al suo mega-tour dev’essere stato uno shock non da poco. Ma i Cut Copy non hanno bruciato la lettera come hanno dichiarato ai media né accettato l’offerta. Preferendo mantenersi in circuiti sotterranei. Ma non durerà. Perché Dan Whitford e soci le potenzialità mainstream le hanno nel sangue. Dopo l’eccezionale “In Ghost Colours”, un agrodolce affresco di elettronica ben suonata, tra spiaggia e club fumoso con il monotono timbro di Dan a restare subito impresso. Electro-pop d’alta scuola non privo di reminescenze shoegaze nei timbri delle chitarre. Di vaga psichedelia sixties. Ma pur sempre electro-pop con un pugno di classici da pista quali “Lights & Music”, “Hearts Of Fire”, “Feel The Love”. Roba da amore a prima vista.

Non a caso in Australia hanno sfondato in classifica. Per poi sbarcare con altrettanto successo nel resto del mondo anglo-americano. Eppoi la lunga gestazione di questo “Zonoscope”, il cui ineffabile titolo è rimasto segreto fino all’ultimo momento. Con una sola sorprendente anticipazione, “Where I’m Going”. A dare un’idea in parte spiazzante rispetto all’effettiva natura dell’album. Il marchio di fabbrica dei coretti da eunuchi (whoo whoo) non resta nel magazzino dismesso in cui i quattro giovani di Melbourne hanno realizzato il loro terzo LP. Un piglio psichedelico di base – vedi intermezzo alla “Baba O’ Riley” – è ciò che emerge nella potenziale risposta da underground mainstream alla sdoganatissima “Kids” degli MGMT. Si accettano scommesse. Nessun timore.

Le smancerie da sculettamento coatto sono garantite. Senza cattivo gusto. Né cadute di stile. Una cascata di colori, in tema con la suggestiva copertina dell’artista Tsunehisa Kimura, pervade l’album. Anche quando i toni più dimessi che sulla scia del precedente album ogni tanto colgono i Cut Copy. Sono loro, sono loro. Non temete: “Hanging Onto Every Hour” e “Take Me Over” rispolverano nel loro stile quell’atmosfera da happy hour per gente figa in cui fare i tamarri si distingue dall’esserlo. Cosa rende i Cut Copy un nome di qualità? Non solo il background, anche perché si sono lanciati come dj, quanto i loro riferimenti. C’è la new-wave prima di tutto, non manca come non dovrebbe mancare in nessun gruppo contemporaneo il post-punk. C’è la Manchester rave. Quanto, mai come in quest’album, Malcolm McLaren e i Fleetwood Mac.

Come si capisce subito in “Need You Now” che apre la scena in pieno stile New Order. Decadenza di fondo, ma l’incedere molto LCD Soundsystem sfocia dove tutti vorrebbero. In un epico tunz-tunz anni Novanta da sorriso a trentasei denti. Il rock non si è perso in questo improbabile gennaio nella terra dei canguri. Le saggissime chitarre sanno più che mai di Talking Heads. Tutto in chiave molto cyborg e sbriluccicante. L’intensa “Blink And You’ll Miss A Revolution” ne è prova lampante, al di là del titolo efficace. I toni afro, gli echi, il ritornello-puttana non distolgono l’idea dall’ascolto di un disco prodotto dal David Byrne dei tempi migliori in ritiro spirituale a Ibiza. Così come la sinuosa “Pharaos & Pyramids”, che guarda molto indietro (Human League, primi Depeche Mode) per poi far scivolare le spigolose trame synth-pop in una ballad sbilenca e decadente. Anche l’Australia ha i suoi Hot Chip. Che si travestono da divi tossicomani da Hacienda mancuniana in “Corner Of The Sky”.

Post-punk si diceva. In chiave 3.0. L’acida “Alisa” che si concede chitarracce da Pop Group proiettandole in una filastrocca drogata da Primal Scream. Eppoi naturalmente quel whoo whoo che nel precedente album era preponderante e ora va in primo piano nei ritornelli. E poi riverberi, campionature da navicella spaziale, orchestrazione classica senza riuscire a non essere pop. Della serie il futuro arriverà o ci siamo già. “Strange Nostalgia For The Future”, intermezzo spaziale, diventa un manifesto d’intenti. “This Is All We’ve Got” pare un remix tridimensionale di un classico della C86.

Sconvolge vista la giovane età la saggezza nella scelta negli arrangiamenti. Il rischio di suonare pacchiani è dietro l’angolo in queste atmosfere. Eppure il sound è sempre multiforme, mai eccessivo e comunque in grado di non allontanare i Cut Copy da quell’identità ormai delineata e consolidata. Cosa che è mancata forse a un altro promettente gruppo affine in questo eclettismo electro-pop, quali i Foals. Continuano a fare sul serio senza prendersi su serio i quattro svampiti della marcia città che fino a qualche decennio fa dava i natali a Nick Cave e altra gentaccia poco raccomandabile. In “Sun God”, traccia conclusiva cedono senza remore a un quarto d’ora di pura suite dancefloor da dancefloor spinto. La degna chiusura di un album che suona come l’ideale compendio tra “Low” di Bowie e “Remain In Light”. In un mood senza vergogna sospeso tra whoo whoo in disincantati panorami da improbabile art-house.

Il dado è tratto: dopo l’addio degli LCD Soundsystem un barlume di speranza nel pop-rock elettronico contemporaneo. Un solo dubbio: ci si diverte così tanto d’inverno in Australia? Ops, nell’altro emisfero è ancora estate.

(84/100)

(Piero Merola)

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