ALIBIA, Confini (MEG / CNI, 2003)

Brutta cosa, l’apprezzare un disco ma non riuscire a parlarne bene; ti sembra strano, paradossale. “Confini”, il debutto degli Alibìa dopo anni di concorsi vinti in giro per l’Italia, ha tutto per farsi piacere dagli appassionati di pop deviato: ci sono due voci sapienti che creano melodie indelebili (ascoltare il singolo “L’equilibrio” per credere), c’è un incrocio di sensualità e violenza, di fragori chitarristici e gentilezza gestito con grande capacità (eccezion fatta per “Realtà artificiale”, inizio alla Garbage e ritornello con chitarre al limite del metal); c’è un’elettronica che si fa spesso struttura portante dei brani senza mai risultare fine a se stessa; ci sono parole che cantano di amore, di nevrosi e di sogni senza mai cadere nel già sentito. Insomma, un disco che sembra tutto meno che opera di un gruppo esordiente: gli Alibìa hanno personalità e doti decisamente superiori.

Cos’è, allora, che mi impedisce di apprezzarli a fondo?
Per prima cosa, la sensazione paradossale che il quintetto abbia un’idea precisa della musica che vuol fare, e nonostante questo dipenda ancora troppo da un unico modello. Per gran parte del disco sembra di sentire una versione aggiornata degli Scisma, i riff di chitarra e gli inserti di pianoforte che discendono direttamente dai pezzi più violenti di “Bombardano Cortina” e di “Rosemary plexiglas”; a togliersi questa sgradevole sensazione dalla testa non aiuta nemmeno la voce di Katja Moscato, davvero simile a quella di Sara Mazo, né il vedere il nome di Paolo Benvegnù tra i musicisti impegnati nel disco.
Somiglianze a parte, spesso la teatralità del canto è troppo poco misurata per farsi apprezzare davvero: accade nel sfogo rabbioso di “Alterazioni”, oppure nel dialogo a due tra schizofrenia e grazia che ascoltiamo in “Calmo”.

Eccoci qua, dunque. Un bel disco, che non riesco a gradire per motivi puramente critici. Piuttosto che elogi incondizionati, preferisco attendere nuove canzoni: le potenzialità del gruppo ci sono tutte, e basta ascoltare il trittico centrale per rendersene conto: “Pagine”, “Lunghissimo istante”, “Ancora nuda”. Tre ottime canzoni, punti di partenza per il futuro di una band che saprà regalarci qualcosa di grande, a patto di riuscire a staccarsi definitivamente dai propri modelli

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