THE CHEMICAL BROTHERS, “Further” (Parlophone, 2010)

chemical brothers furtherSono tornati? Non si sa.

Si sa che è difficile ritrovare l’entusiasmo che sorgeva spontaneo qualche anno fa, quando, nel fermento elettronico precedente agli anni ‘2000, imperversavano i figli di un crossover capace di unire in una formula compiuta suoni da club con attitudine rock e pop. Andava delineandosi un modello, tanto forte da permettersi di mutuare senza violare la propria natura, di volta in volta, elementi dalla techno, dall’hip hop, dal rock, come dal gusto mainstream. Abbiamo assistito all’inarrestabile affermazione del progetto di Tom Rowlands ed Ed Simons sul finire dei ’90, lo abbiamo visto passare per l’inizio dell’inesorabile parabola discendente inaugurata con “Come With Us” (Virgin, 2002) e raggiungere il punto del più netto declino subito dopo “Push The Button” (Virgin, 2005).

“Further”, senza indugiare oltre, appare migliore se confrontato alle due uscite che lo hanno preceduto. Appare, nel complesso, un ritorno agli esordi, un viaggio in territori sicuri e familiari. “Così non è possibile sbagliare” devono aver pensato. In effetti non hanno sbagliato. Hanno riesumato, come detto, alcuni elementi già presenti nel lontano “Loops Of Fury Ep” del 1996 e li hanno cuciti sopra un decennio di sperimentazioni spesso ben riuscite.
Detto questo è necessario riconoscere che siamo lontani dalla bellezza grezza di pezzi come “Chemical Beats”, “Block Rockin Beats” o da veri e propri simboli di un periodo musicale, indelebili nell’immaginario collettivo, come “Out Of Control”, “Let Forever Be”, “Hey Boy Hey Girl”. Siamo anche, allo stesso modo, lontani da momenti minori che rappresentano pur sempre le cose migliori dei loro anni ‘2000 (“Star Guitar”, “Galvanize”, “Get Yourself High”), trovandoci di fronte ad una manciatina di tracce capaci quando di conservare il marchio di fabbrica (“K+D+B”, “Dissolve”), quando di ricercare la propria identità nella melodia (“Snow”), quando di rivisitare con una certa dignità i fasti big beat di fine ’90 (“Horse Power”).
Poteva andare peggio. Ma anche meglio.

(Tommaso Artioli)

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