BROKEN SOCIAL SCENE, Forgiveness Rock Record (Arts & Crafts, 2010)

A scrivere dei Broken Social Scene dopo il concerto di Barcellona cui abbiamo assistito qualche giorno fa, c’è il rischio che la recensione sia solo una carrellata di “che figata, mamma mia che figata”. Anzi. A dire il vero, una recensione di “Forgiveness Rock Record” rischia sempre di essere una carrellata di superlativi. Questo perché si tratta dei Broken Social Scene. Questo perché stiamo parlando degli unici fuoriclasse dell’attuale panorama indie. Questo perché se c’è un gruppo da supportare, amare e stimare anche quando non tutto è a fuoco o ben calibrato, questi sono proprio i canadesi capitanati da Kevin Drew e Brendan Canning (nota di costume, da quando si è tagliato la barba sembra Margaret Thatcher).

Siamo di parte e siamo fieri di esserlo. Quando si parte con “World Sick” è un’epifania: il pezzo che volevi ascoltare da tempo. Quando li vedi da Letterman divertirsi con quel potenziale singolo perfetto che è “Forced To Love” vuoi essere lì con loro e vivere quella sorta di miracolo musicale che rappresentano. Quando arrivi alla fine sui coretti di “Water in Hell” ti rendi conto che questi la musica oltre a suonarla la ascoltano anche e della storia hanno una consapevolezza che molti si sognano (… e non è un caso che, sempre a Barcellona, non si siano limitati a chiamare Spiral Stairs dei Pavement sul palco ma siano saliti a suonare coi Pavement stessi per una sorta di “passaggio di consegne”). E poi c’è quell’intensità. Quella forza epica di canzoni narrate attraverso le note: viaggi musicali lontani dalla noia insita negli strumentali “a tutti i costi” – prendere “Meet Me In The Basement” e salutare chi è convinto che la noia sia terapeutica – e quel lento e romantico sussurrare (che bilancia i momenti per cui la band è veramente amata, quelli “da festa”, “da casino”) che avvolge “All To All”, “Highway Sleeper Jam” e “Sweetest Kill”.

Sì, insomma, non è il caso di fare una disanima critica di quello che c’è e quello che non c’è. Sapete benissimo che tipo di musica fanno i Broken Social Scene e sapete bene che qui trovate tutto quello che, nel bene e nel male, li ha resi unici. Del resto, sono stati i primi ad indicare un certo tipo di possibilità per la musica pop del terzo millennio ed è giusto che siano, di fatto, sulla bocca di tutti gli appassionati. Non bisognerebbe neppure far questioni di gradimento tipo “è meglio questo o i precedenti”. Ovvio che “You Forgot It In People” aveva un’urgenza diversa e un senso di novità che qui ormai non c’è più o che “Broken Social Scene” poteva contare sull’onda lunga di canzoni meravigliose e un singolo – “Fire Eye’d Boy”, ovviamente – da sognar la notte ma importa fino a un certo punto. Sì, forse questo non è come gli altri e allora? È bello comunque. Bello perché è bello, c’è dentro della musica meravigliosa che non vuoi smettere di ascoltare e basta questo.

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