Calexico + Vinicio Capossela, Giardini Juvarriani (Venaria Reale – TO), 2 luglio 2009

Piccola premessa: costringere lo spettatore di un concerto rock al rigor mortis del “posto a sedere” è una punizione che non si meriterebbe nemmeno il fan del metal sinfonico più bolso. Ecco perché, a solo mezz’oretta dall’inizio, in molti abbiamo già abbandonato le seggiole e siamo andati a sfidare la pioggia battente su due piedi, per dare così il nostro bentornato ai Calexico. Alla seconda tranche del loro tour in Italia, per la band di Tucson si rinnova la diagnosi che fu già di quest’inverno: bravi ma freddini. Va meglio quando danno via libera alle loro venature sudamericana o alle ormai proverbiali “aperture Morriconiane”, che stasera si ritrovano a fare da commento sonoro al giardino di una vecchia reggia sabauda, per giunta sotto un cielo notturno che pare un colabrodo.

Il Dio degli acquazzoni decide comunque di graziare la parte dello show sotto la competenza di Vinicio Capossela: la sua è un’affezione inversa rispetto a quella dei cugini americani, vale a dire un’esecuzione sgrammaticata ma accompagnata ad un naturale carisma da performer. Al suo ingresso c’è un gran viavai di musicisti che lascerà Joey Burns e John Convertino attorniati da una nutrita compagine di aiutanti caballeros: come da copione, l’attacco è riservato a “Polpo d’Amor” e “Sulla Faccia della Terra”- la doppietta che fece scoccare la scintilla fra le due band – e a qualche estratto da quell’“Ovunque Proteggi” che gli stessi Calexico citarono al New York Times come uno dei loro dischi preferiti dell’annata 2007. Seguono un paio di piano ballads americane in onore degli ospiti e diversi rimaneggiamenti e ripescaggi dal canzoniere popolare italiano, preparati apposta per l’occasione: fra questi si fanno ricordare “Che coss’è l’amor” in versione tex mex, “Come una rosa”che danza a passo di tango e una “Rondinella” che finisce come “Ring of Fire”, gettando un ponte fra le Puglie e Nashville che candida lo stesso Vinicio a “Johnny Cash della Val d’Otranto”. E’ decisamente brillo il Capossela, e scorda spesso le parole. Però pare anche sinceramente felice: “Al Veglione” e “L’uomo Vivo”, sembrano quasi che parlino di lui, con le loro arie festaiole: continua a cambiarsi d’abito, sorride, abbraccia i suoi sodali e chiede persino ai “bulldog della sicurezza” di ridurre la distanza con il suo pubblico. Certo, un’orchestra così numerosa esigerebbe un direttore più preciso, ma a chi sa regalarci una romanza estiva come la “Ultimo Amore” che chiude lo spettacolo si perdonano le stecche e anche le ciucche allegre.