Italia Wave 2008 (Livorno) – 17 luglio 2008

17 luglio 2008 – La giornata

The Ting Tings

Per il terzo anno una città diversa, chissà se Italia Wave troverà finalmente una casa. Scommettere su Livorno è ancora oggettivamente presto, e i primi assestamenti non sono del tutto incoraggianti. Meno delle aspettative il pubblico della giornata del 17 luglio, forse perché è difficile far cambiare mentalità e far sborsare anche solo i minimi 15 euro per il Main Stage, forse perché i livornesi sono i maghi dell’ironia ma possono essere anche un po’ diffidenti. L’atmosfera però è perfetta, il Wake Up e lo Psycho stage alla Rotonda, immersi nel lungomare labronico tra locandine del Vernacoliere e titoli come quello del Tirreno di ieri (che dovrebbe essere serio e invece finisce con l’essere concorrente del giornale di Cardinali se presenta come titolo principale roba come questa: “Prende a calci un cagnolino riducendolo in fin di vita”), fanno beare il Love Festival di un fascino da beach. Il Main allo stadio, poi, è semplicemente un bel revival di quello che accadeva ad Arezzo.

Ma Italia Wave è un festival musicale, dunque quello che conta (o dovrebbe contare) è, oltre la topa (titolo di benvenuto del Vernacoliere: “Si sona si canta si tromba ma le fie ve le dovete portà!”), la programmazione musicale. Che è come al solito curatissima, stimolante e coinvolgente. Paolo Benvegnù dona allo Psycho le sue canzoni scheletriche e malate come un quadro di Schiele con una grinta mai doma: aperture elettriche sferzanti come una doccia estiva, moderne ballate di amore ed odio, l’impeccabile ex cantante degli Scisma congeda tutti con una bella frase: “Siate adolescenti e felici!”. Arrivano i Ting Tings e si vede, fanno casino pur essendo in due anche perché sono pieni di basi a tal punto che potrebbero andarsi a prendere un caffè e forse non cambierebbe poi molto. Però l’approccio è giusto, protopunk, o forse sarebbe meglio dire fashion-protopunk, anzi “alla B52’s” che facciamo prima. La semi-isterica Katie calcia le aste dei microfoni e si dimena sia che abbia davanti un tastierone sia che imbracci la chitarra, Jules precisissimo nonostante suoni la batteria apparentemente senza click in cuffia. Si balla e ci si diverte, l’unica controindicazione dei Ting Tings è Katie quando canta sulle note alte perché le esce un sibilo che neanche le teiere scozzesi. “Great Dj” vabbé la conoscono tutti (forza della pubblicità), ma tutti gli estratti da “We Started Nothing” funzionano, in particolare “That’s not my name”.

Paolo Benvegnù

Al Picchi hanno l’onere di suonare davanti ad uno stadio che a quell’ora è eufemistico definire vuoto i Pan Del Diavolo, due chitarre e una grancassa per mischiare la tradizione siciliana con New Orleans. Molto particolare la voce di Pietro Alessandro Alosi, quasi declamatoria da circo. Segue la somalo-italiana Saba, pop tribale infiocchettato da molte percussioni che appare fascinoso e sensuale come lei ma allo stesso tempo un po’ da cartolina, e soprattutto i sudafricani Freshlyground, la vera sorpresa della serata. E’ bello vedere neri e bianchi nello stesso gruppo, forse in Sudafrica non è così scontato, ma è ancora meglio ascoltarli e muoversi sulle loro frizzanti note. Non si pensi ad un gruppo improvvisato, guardi dietro al cd e scopri non Danone bensì Sony. Flauto traverso e violino gli strumenti che connotano il sound, la star però è la vulcanica cantante Zolani che è un concentrato mignon di energia, oltre al chitarrista Julio dall’alto livello di pathos, entrambi neri. Il risultato è la classica musica che ti aspetteresti da una band africana, e scusate il qualunquismo ma in Africa purtroppo non ci siamo mai stati, con anche momenti sognanti. Infatti oltre ad un assolo di Julio, semplice ma perfetto, che fa partire un pezzo in modo lascivo e caldo, i Freshlyground chiudono con una toccante eterea canzone d’amore (“cosa faresti se ti baciassi?”).

Freshlyground

A dimostrare ancora di più che la serata del 17 luglio è praticamente un Etnic Wave arrivano anche i Sergent Garcia, formalmente dalla Francia ma in realtà da un sacco di posti diversi tanti quanti le etnie dei componenti. Il loro funky-salsa-rap-mambo-reggaeton fa muovere il culo di tutti, si improvvisano trenini che neanche nelle balere di liscio nelle serate più riuscite, insomma si entra decisamente nel vivo dello spettacolo reso poi sublime da Gnarls Barkley. Uno schiaffo che ci riporta tutti a pensare quanto sia coinvolgente un concerto quando sul palco si suona davvero, quando il soul si modernizza, quando una vaga sensazione di estasi ti coglie. Danger Mouse è chino sull’hammond che ormai gli esce una gobba, il simpatico Cee-Lo non si capisce se è un rapper o un cantante soul e va benissimo perché il risultato è enorme. Anche quando fanno la cover di “Reckoner” dei Radiohead. Un confronto, ancorché senza senso, allora si impone: meglio questo live o quelli dei Radiohead di giugno? A malincuore si risponde all’unisono: meglio Gnarls Barkley.

Il rapimento è totale. Ci dimentichiamo anche di come sta il cagnino de Il Tirreno. Domani compriamo il giornale per saperlo. To be continued.

Gnarls Barkley (foto Paolo Bardelli)