Intervista a Patti Smith

Patti Smith sul palco del Mu.Vi. il 30 giugno 2005

PATTI SMITH ARRIVA, camminando tra le passerelle del Mu.Vi di Modena, dove ha suonato lo scorso giovedì, davanti a una folla adorante. I capelli arruffati, una canottiera slabbrata, scarpe che hanno visto giorni migliori; ma Patti Smith non seduce con i vestiti, ma con uno sguardo vigile, attento, che trattiene a stento tutta l’energia e l’intelligenza di questa donna che, a quasi sessant’anni, continua ad avere una forza impressionante, e a far confluire questa forza nella sua arte.
Questo è il risultato della nostra conversazione, poco prima di un veloce sound-check.

Questa intervista è la versione integrale dell’articolo, a mia firma, pubblicato sul quotidiano “Il Giornale di Reggio” in data 3 luglio 2005. Ringrazio la redazione, e in particolare Lara Ferrari, per la disponibilità a concedermi la pubblicazione su Kalporz.


Da cosa trae ispirazione per le Sue canzoni?

L’ispirazione arriva sempre da fonti differenti. Per “Trampin’” (l’ultimo disco di Patti Smith, uscito nel 2004, NdI) ha influito molto la morte di mia madre, e molte canzoni sono state scritte per ricordarla. Allo stesso modo molta musica è nata dal fatto che anch’io sono madre di due ragazzi, e il mio pensiero andava al mio essere madre, e allo stesso tempo a tutte le madri che stanno soffrendo per le guerre e i bombardamenti, come in Iraq. Tutto l’album è colmo di pensieri sulla famiglia, sulla guerra, sull’amore.

Si dice che, la notte in cui Allen Ginsberg morì, Lei fosse lì ad accompagnarlo leggendo alcune poesie di Ezra Pound. Che legame ha con la poesia beat?

Molti poeti beat erano miei amici: Ginsberg, Gregory Corso, William Borroughs…da loro ho imparato molto sulla poesia e sull’attivismo. Lo stesso Ginsberg era sia un attivista che un poeta, ed è stato per me anche un ottimo maestro. La notte in cui morì io ero lì, e onestamente non ricordo cosa gli abbia letto esattamente di Ezra Pound. Ricordo però che non fu il solo poeta che gli lessi quella notte; ebbe una morte molto tranquilla, e desiderava che gli leggessi Walt Whitman, un poeta a cui lui era davvero molto legato.

Lo scorso anno la città di Ferrara ha ospitato una Sua personale di pittura. All’inizio la Sua arte figurativa era molto incentrata su tematiche sessuali esplicite, e la parola arrivava direttamente sulla tela, scritta assieme all’immagine; com’è cambiato il Suo modo di dipingere?

Ora uso anche il computer, ma solo per alcune rielaborazioni grafiche di foto digitali, come tutta la serie dedicata alla South Tower (una delle due Torri Gemelle, NdI). All’inizio i miei quadri avevano molti riferimenti sessuali perché avevo vent’anni, stavo ancora cercando una maniera personale di esprimermi che fosse forte; la parola scritta c’è sempre stata nei miei quadri, e c’è tuttora: per me è molto importante.
Se devo individuare un cambiamento nella mia arte, è che ora sono molto meno concentrata su di me e più attenta al mondo esterno, a ciò che mi succede intorno.

Com’è cambiata New York in questi anni?

Rispetto al ’69, l’anno in cui io arrivai, ora New York è molto più ricca, ma anche molto meno ospitale nei confronti degli artisti: adesso è più costosa, materialista. Un tempo il Village era pieno di artisti, gente che poteva sperimentare e trovare un posto dove vivere anche a poco prezzo: io stessa ho lavorato in una libreria per anni prima di dedicarmi totalmente alla poesia e alla musica; ora è piena di negozi di firme e di pullman di turisti che vanno a vedere il CGBG…New York ha perso il suo carattere.
Dopo l’11 settembre ci sono stati grani cambiamenti: in tutti gli Stati Uniti, la gente è più spaventata. L’amministrazione Bush ha imposto un regime di sicurezza fatto di controllo e di intrusioni nella privacy dei cittadini, e questi sono regrediti, sono più preoccupati di sé e dei soldi, invece di preoccuparsi per la guerra o per la situazione del mondo.
Quando ci sono stati gli attacchi alle Torri Gemelle, io ho pensato a tutte le vittime, non solo americane, ma anche ai kamikaze; mi sono chiesta quanto male abbiamo potuto fare loro per spingerli a un tale livello di disperazione e di odio. Ma nessuno, negli Stati Uniti, ha ragionato in questo modo: la tragedia è stata orribile, ma la cosa più grave è che nessuno ha imparato nulla dalla vicenda, solo vendetta.

Tra gli artisti più giovani, c’è qualcuno che ritiene particolarmente interessante?

Sì, mio figlio Jackson! (ride). Ha ventidue anni, è un chitarrista. Sinceramente non conosco molti nuovi artisti e quindi non ho modo di giudicare, ma ho molta fiducia nelle nuove generazioni.

P & P: Patti e Paletta (a destra)

Già negli anni ’60 un critico come Lester Bangs criticava gli aspetti più divistici delle rock star, ma in quel periodo la musica che si suonava era comunque straordinaria; ora sembra che siano rimasti solamente gli aspetti più deteriori del divismo. Lei cosa ne pensa?

Sì, probabilmente è così, ma bisogna anche guardare la cosa da un altro punto di vista: molti artisti giovani sono completamente sfruttati dal music business e da realtà come MTV; a nessuno di loro si insegna a portare avanti l’eredità musicale di altri venuti prima, ma solo ad avere successo il più in fretta possibile. Negli anni ’70 ci ribellavamo al rock da stadio di gruppi come i Kiss e contro il divismo, perché quello che volevamo era ridare il rock nelle mani della gente, perché il rock è una forma culturale che appartiene a loro. Quando canto “people have the power”, lo faccio perché credo realmente che la gente abbia il potere: deve solo avere il coraggio di usarlo, e ridare un significato autentico alla musica.

Quando negli anni ’90 scoppiò il fenomeno delle riot grrrls, band come le Bikini Kill e le Hole indicarono Lei come una delle principali fonti d’ispirazione per ogni donna che volesse iniziare a suonare rock: Lei crede di essere stata un modello per queste artiste?

Beh, se loro dicono di essersi ispirate a me, per me va bene… (sorride) non ho modo di giudicare. Certo, pochi giorni fa ho saputo che il prossimo Novembre un’organizzazione di Seattle mi darà una specie di premio alla carriera, e questo non può che farmi piacere; ma io non posso dire di avere ispirato nessuno. Io non ero una cantante, e nemmeno una musicista: tutto quello che volevo era potermi esprimere liberamente, e in questo spero di aver incoraggiato altre donne a fare lo stesso.