AA.VV., Everything is ending here – A tribute to Pavement (Homesleep Records, 2003)

Chi non si è ancora ripreso dal trauma dello scioglimento dei Pavement, aspettava da tempo questo tributo. Ora che è arrivato, grazie agli sforzi encomiabili della Homesleep che è riuscita a mettere insieme due dischi pieni di canzoni del gruppo di Stockton rifatti da gruppi più o meno importanti della scena indipendente, quasi si stenta a crederlo.
In tutto trentacinque brani firmati Pavement più la curiosa e un po’ folle dedica degli Spearmint, che nel brano che apre il tributo e un po’ lo presenta raccontano come le canzoni di quel gruppo abbiano scandito la loro vita. E lo stesso fanno le note interne di questo disco, che ci ricordano quanto belle e importanti fossero quelle melodie svogliate e confuse e quanto lo siano ancora oggi.

In fondo, il motivo per cui questo disco è davvero riuscito, al di là del fatto che le riletture siano rispettose dell’originale o che viceversa ne stravolgano la forma, è la fedeltà allo spirito del gruppo di Spiral Stairs, Stephen Malkmus e soci. Brani imperfetti e disordinati eppure scintillanti, confusi eppure incantevoli, come i momenti migliori dei Pavement appunto.

C’è tutto questo su “Everything is ending here”. Dalla versione di “Shady Lane” fatta a pezzi e poi ricucita da Solex, alle chitarre ruvide dei Trumans Water che riprendono “Forklift”, dall’indimenticabile “Range Life” resa una dolce e intorpidita cantilena cantata in indiano da “Future Pilot A.K.A.”, alle bellissime note acustiche di “Give It a Day” rifatta dagli Yuppie Flu.
Questo per dire solo di alcuni vertici dell’album, che mostra un entusiasmo invidiabile passando per un’infinità di grandi canzoni e di piccoli grandi gruppi. Tra i tanti che meriterebbero una citazione è giusto parlare almeno dei grandissimi Fuck, che sono forse il gruppo più fedele allo stile dimesso dei Pavement. Giusto all’inizio del secondo disco, suonano una versione ispirata e indolente di “Heaven is a truck”, facendone un piccolo gioiello.
Alla fine di “Everything is ending here” viene voglia di riprendere quei dischi e riascoltarli ancora una volta, e questo è il miglior complimento che si possa fare a un tributo. Per chi lo ha curato e lo ha portato fino a noi, c’è una sola parola, la stessa che loro rivolgono nelle note ai Pavement: grazie.

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