HAND HABITS, “placeholder” (Saddle Creek, 2019)

Non so se sia un luogo comune, ma in ogni caso mi sembra di vedere alla mattina più donne che uomini al volante che chiacchierano felici, in vivavoce o all’auricolare poco importa. Con chi, non si sa. Soprattutto non si capisce come abbiano voglia di conversare amabilmente alle 7,30 di mattina. Sette-e-mezza di mattina! Noi gufi non possiamo comprendere. Il fatto che è probabilmente le donne comunicano di più, e di certo lo fanno soprattutto in questo momento storico, anche nella musica. Hanno più argomenti, più cose da dire.

Prendiamo Hand Habits, progetto della cantautrice Meg Duffy: il suo secondo album “placeholder” è fatto di quella calda pasta folk molto frequentata che, se oggigiorno fosse opera di un uomo, probabilmente, non meriterebbe le luci dei riflettori. E invece Hand Habits, nella semplicità di linguaggio, dice, comunica qualcosa.

Meg Duffy è cresciuta in una piccola città a nord di New York, affinando la sua tecnica alla chitarra durante i tour con Kevin Morby, e il suo progetto Hand Habits ha preso vita dopo il suo trasferimento a Los Angeles. Contrariamente al debut album “Wildly Idle (Humble Before the Void)”, uscito per Woodsist Records nel 2017, interamente autoprodotto e registrato a casa di Meg durante i momenti di pausa dai tour, in “placeholder” ha lavorato in studio con diversi collaboratori e il risultato si è fatto più corale. O, meglio, più completo, forse, perché il tono è quello in ogni caso quello sommesso della confessione personale (“pacify”) o in ogni caso un approccio pacificato.

Tra tutte le canzoni ne spiccano due dalle armonie pop piuttosto irresistibili: “what’s the use”, che potrebbe ricordare un po’ “’74-’75” de The Connells, e “what lovers do”, che va più dalle parti di Angel Olsen ma più tranquilla, come dicevamo, ma in fondo tutto l’album ha un suo equilibrio di composizione e di autonomia.

“placeholder” è dunque un buon album in un genere oramai abusato, che la ventiseienne si cuce addosso come un vestito su misura. Non ci aiuterà a capire di cosa discutono alla mattina le donne (e in generale a capirle), ma se lo mettiamo su alle 7,30 di mattina parlerà a noi, con placida passione e intrepida voglia di comunicare.

70/100

(Paolo Bardelli)