UNKNOWN MORTAL ORCHESTRA, “Sex & Food” (Jagjaguwar, 2018)

Ci sono band che ci coccoliamo da tanto tempo, e gli UMO sono tra queste. Segnalati nel 2010 dal sottoscritto all’uscita del primo singolo, li abbiamo seguiti dal vivo tre volte in un mese negli States nel 2012 e a Carpi nel 2013, intervistandoli poi l’anno successivo. Tutti i loro dischi ci sono piaciuti, per ragioni diverse. Giunti al quarto disco si possono fare dei bilanci, e secondo me ci sono un paio di punti fermi quando si parla di Unknown Mortal Orchesta: primo, che sanno suonare bene, e di brutto, quasi a livelli di ipertecnica. Questa caratteristica faceva di loro un po’ delle mosche bianche tra gli indipendenti (ora sono cambiate le cose), perché indie è stato molte volte, semplificando troppo, associato all’estemporaneità di chi faceva musica per passione senza padronanza degli strumenti. Secondo: hanno sempre mischiato influenze diverse con gusto, in particolare mantenendosi in quella sottile linea tra fuzz, soul e psichedelia, e dunque erano particolarmente avanti all’inizio della loro carriera. E ora a che punto sono?

“Sex & Food” continua sulla linea di “Multi-Love” ma accentua, coerentemente coi tempi attuali, il lato soul da cartolina e quello pop patinato, e scompaiono del tutto le svisate psichedeliche. Peccato, aggiungo io. Perché le canzoni di  “Sex & Food” potrebbero figurare un po’ anonime se non fossero suonate dagli UMO, mentre quantomeno lo spessore artistico del trio neozelandese adottato da Portland risolleva il tutto. E perché la psichedelia era la chiave di lettura migliore di quello che rimane ancora, secondo il sottoscritto, il loro album più riuscito, ovvero “II“.

Nonostante una coerenza massima e una omogeneità assoluta, “Sex & Food” ci regala alcuni momenti ben riusciti (“How Many Zeros” su tutti) e altri che scivolano via molto velocemente: il singolo “American Guilt” ad esempio è da collocarsi nel lato “ok”, ma anche quello è prodotto – come il resto dell’album – con suoni molto leggeri che non fanno emergere la forza del riff e della canzone in generale, e quindi risulta in definitiva come una canzone infuocata spenta con l’acqua. Il che è poi appunto la cifra di tutto l’album, e di canzoni “da aperitivo” come “Hunneybee” (insopportabile) o “The Internet Of Love (That Way)”.

Il bilancio di cui parlavamo all’inizio è dunque in chiaroscuro: se è innegabile che gli UMO sono una colonna di questi anni ’10, è pur vero che avrebbero dovuto forse dare la stoccata finale con questo quarto album. Che non è arrivata.

65/100

(Paolo Bardelli)