DJANGO DJANGO, “Marble Skies” (Because/Caroline International, 2018)

I Django Django erano una delle più promettenti band di questo decennio, avrebbero dovuto fare sfracelli e marcarlo in maniera indelebile. E invece, dopo il debutto che ci aveva fatto strabuzzare gli occhi e che qui a Kalporz era piaciuto “un tot”, raggiungendo il 12° posto agli Awards di fine anno, la band di stanza a Londra aveva piuttosto fatto scorrere un secondo album poco appariscente e poco sexy. “Born Under Saturn” in realtà ha ricevuto delle buone critiche (72 di media su Metacritic) ma quello che più si può contestare a quel ritorno è di non aver cristallizzato i Django Django come realtà imprescindibile che marca le sonorità in divenire. Non dava una direzione al di fuori di se stesso, insomma.

Cosa è rimasto, dunque, del debutto estroso degli scozzesi, oggi? Una maggiore consapevolezza e il songwriting. Il che fanno di “Marble Skies” un signor disco. Se volessimo fare una battuta, potremmo dire che i Django Django odierni si sono fatti fagocitare dalla new-wave. Non si esce mai dagli Anni ’80, e anche una band così estroversa che mischiava ritmi tribali con armonizzazioni vocali d’effetto nell’ambito di atmosfere dreamy e kraut è finita, dopo un po’, a virare verso le oramai rodate e sicure lande della new-wave inglese di inizi eighties. Gli elementi ci sono ancora tutti, semplicemente sono messi maggiormente in ordine e in una dimensione più omogenea. Se dunque il singolo anticipatore “Tic Tac Toe” è pedissequo al tribalismo in bilico tra western e astronavi a cui ci hanno sempre abituato i Django, altre canzoni appaiono più quadrate: “In Your Beat” si affida alle soluzioni gold dream dei Simple Minds, “Beam Me Up” al dark-pop dei primi Tears For Fears, la titletrack “Marble Skies” alle autobahnen tedesche evolute con il gusto psichedelico degli anni ’00. Quello che conta è che sottotraccia si coglie immutata la passione di una scrittura ispirata e di classe (“Sundials”, dalle atmosfere Beach Boys e beatlesiane) e qualche volontà di evoluzione, seppure meno a fuoco (“Surface to Air” con il featuring di Self Esteem), per cui – sì – si può dire che i Django Django ci sono con la testa, mica si sono distratti.

Mi scuserete la metafora politica, ma si dice che chi a 20 anni non vota a sinistra non ha cuore e chi a 40 non vota a destra non ha testa: ebbene, anche i Django Django sono cresciuti, e hanno stabilizzato le loro idee musicali. Che non saranno di destra, ma sono di certo più ordinate, meno teoriche e più concrete.

77/100

(Paolo Bardelli)