HAPPYNESS, “Write In” (Moshi Moshi Records, 2017)

Londra suona ancora il rock degli anni 90. Questo afferma in sintesi il nuovo disco degli Happyness, trio inglese che non poco (mi) aveva impressionato con l’esordio “Weird Little Birthday” pubblicato tra 2014 e 2015. Il modus operandi di Jonny, Benji ed Ash non si è poi tanto spostato da lì, sempre alla ricerca del massimo risultato sonoro col minimo budget; in “Write In” l’obiettivo ulteriore sta nel definire una forma melodica più stabile e riconoscibile, forse a scapito di quei bozzetti folk in bassa fedeltà (“Baby Jesus”, “Lofts”) che li avvicinavano alle sonorità del Beck di “One Foot In The Grave” e al compianto Sparklehorse/Mark Linkous.

Le dieci canzoni, delle quali “Anna, Lisa Calls” e “Tunnel Vision On Your Part” già pubblicate su EP l’anno scorso, risultano quindi maggiormente compiuti rispetto al passato prossimo, con un orecchio allo shoegaze di “Loveless” nella splendida “Anytime” e al brit-pop elegante dei Pulp in “Victor Lazzaro’s Heart”; non manca nemmeno il pezzaccio di due minuti tra noise à la Sonic Youth e psichedelia visionaria (“Bigger Glass Less Full”). Ottima anche la pianistica “Through Windows”, strano incrocio tra Radiohead e Beach Boys per un’armonia semplice e rotonda, formula meno efficace a mio parere nella chitarristica “The C is A B A G” che dopo un pò finisce col perdersi. Detto già su queste pagine della bellezza del primo singolo “Falling Down” – il crescendo dell’ultimo minuto è zeppo di un pathos da antologia – non riesce ad esaltare fino in fondo proprio “Tunnel Vision On Your Part”, memore dei Teenage Fanclub di “Songs From Northern Britain”.

Esuberanza e libertà creativa a braccetto, oltre a una sana voglia di non prendersi troppo sul serio. La sfida agli Yo La Tengo in “Uptrend/Style Raids” chiude il resoconto di un discreto album “di assestamento” che avrebbe giovato di un paio di ulteriori cavalcate soniche.

68/100

(Matteo Maioli)