Factory Floor, Astoria, Torino, 8 aprile 2012

L’Astoria è un bar con tanto di basement aperto da qualche mese a San Salvario. Area adiacente alla stazione centrale, di recente rivalutata e dal respiro sempre più europeo. Astoria che di europeo ha l’arredamento e lo scantinato buio e claustrofobico. Il soffitto basso e dei volumi micidiali. Tanto che prima dello show (orario di inizio altrettanto europeo, ore 22) un ingegnere assiste al line check per la rilevazione dei decibel. Una severità che stride con il piscio libero nelle strade adiacenti di avventori meno hipster dei frequentatori dell’Astoria. Piscio libero che insidia, con la complicità di due sbronzoni della domenica, persino il van della band parcheggiato poco più avanti. Band guidata in Italia da Dr. Kiko, dj e tour manager vecchia conoscenza di Kalporz, con uno special guest di lusso, Tim Burgess dei Charlatans. A curare il dj-set post-concerto. Scene da Britannia d’altri tempi.

Ultima data delle quattro, questa di Torino. Che lancia il promettente trio londinese in Italia. Al di là dei casuali e incolpevoli rimandi a Warhol e Joy Division, i Factory Floor sono saliti alla ribalta con un elettronica sintetica e industriale. Ossessiva. Ipnotica. Suonata. Il terzo album è in lavorazione, ma è stato “Two Different Ways”, con cui aprono i quarantacinque minuti di set, a farli esplodere. Grazie anche alla “sponsorizzazione” della DFA che anche nel post-LCD Soundsystem continua a supportare e a sfornare produzioni di qualità. Eppure la risposta del pubblico è deludente: una trentina scarsa gli appassionati in grado di fiutare il valore di una serata del genere nei difficili postumi del pranzo pasquale.

Dominic Butler è l’architetto che tesse le spigolose trame sintetiche. E i quasi cinque minuti di synth che aprono lo show annebbiano subito la vista. Con Nic Colk, donna immagine un po’ aliena a giocare con la bacchetta sul manico della chitarra in pieno stile Thurston Moore. E Gabriel Gurnsey a picchiare duro da subito. Poche pause, set senza compromessi e respiri. I volumi salgono e si propagano nel basement, a dispetto del limite dei decibel. L’ingegnere è andato via. Inizia
il sabba. È un synth-pop ricombinato con la sapienza tribale dei Black Dice.

La voce spettrale e a tratti impercettibile della conturbante Colk fa molto contraltare femminile di Angus dei Liars. La cassa diventa presta dritta, con gli stacchi di Gurnsey a far tremare letteralmente il palco. Si fa fatica persino a ballare tale è l’impatto. Complici forse anche le dimensioni della sala. Abbastanza preso dallo show, Tim Burgess, irriconoscibilmente biondo ossigenato scatta qualche foto affianco al palco. La strobo annichilisce lui e noi mentre “A Wooden Box” sconfina nella techno. Malgrado l’estetica industrial resista anche ai momenti più anni Novanta. Cosey dei Throbbing Gristle e Morris dei Joy Division tra gli estimatori più illustri oltre al qui presente leader dei Charlatans. L’attesa per l’LP dei Factory Floor 2.0 in versione da pista non può che salire.
In “What You Say” la furia ipnotica si sposa con le dissonanze eteree di Caribou e The Field. Per un finale senza respiro. Tre quarti d’ora di distacco, con un’atmosfera da rave delle prime luci dell’alba.
E invece alle 23 è tutto finito. Serata fino in fondo europea, insomma.

(Piero Merola)

*foto di Davide Merlenghi tratte dalla pagina facebook ufficiale dell’ASTORIA
( link )

11 Aprile 2011

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