FUCKED UP, “David Comes to Life” (Matador, 2011)

Per comporre il loro mastodontico romanzo di formazione, i Fucked Up hanno aderito alla fascinazione springsteeniana dell’attuale scuola narrativa nordamericana di Hold Steady, Arcade Fire, Titus Andronicus e altri. “The Monitor” e “The Suburbs”, antologie-fiume tanto avvincenti quanto imperfette (anzi, tanto avvincenti perché imperfette), condividevano l’ambizione destinata a fallire, quasi per definizione, di riscrivere il grande romanzo americano. “David Comes To Life” ottiene risultati ancora migliori, piazzando un lavoro riuscito coesione, vitalità ed entusiasmo.

La cosa divertente è che hanno scelto la forma espressiva più lontana da quello che ci si aspetterebbe da una band hardcore con velleità psichedeliche, incuranti di decenni di noie concept, musical e rock-opera. Per l’occasione i Fucked Up si sono riconvertiti ad un punk rock stradaiolo, luccicante e torrenziale lungo tutti e settantotto minuti di musica. Una mole gigantesca (diciotto canzoni di durata compresa tra 3:18 e 5:36 divise in quattro atti, per consentire di interrompere l’ascolto ed andare in bagno con la coscienza pulita) che fluiscono velocemente grazie ad una densità elevatissima di canzoni brillanti, bagnate da una pioggia incessante di idee, suoni e soluzioni freschissime. Cito solo le mie preferite e non ci penso più: la dinamica impetuosamente Oi! di “Ship Of Fools” che pare un assurdo convitato di Black Flag, Stooges e Oasis, l’ombra paterna di Bob Mould sulla pennata di “A Slanted Tone”, l’intensità proletaria della risorgimentale “Running On Nothing” e i raggi dell’alba sulla dichiarazione d’amore rumoroso di “Queen of Hearts”. Ma nessun brano è da meno degli altri ed è tutto l’insieme ad essere praticamente inattaccabile. Il divertimento raddoppia leggendone in contemporanea i versi del libretto, anche se è dura decifrarne del tutto lo sviluppo narrativo, vuoi per la visionarietà, vuoi per il fatto che Pink Eyes, forte del suo vocione cavernoso, interpreta indistintamente quasi tutti i personaggi come il doppiatore unico della televisione polacca che vedevo da piccolo sul satellite di mia zia. Una vicenda di lavoro in fabbrica, amore, illusione, delusione, depressione, oppressione, controllo delle masse, presa di coscienza e liberazione che racchiude insieme milioni di altre storie.

I Fucked Up sono riusciti a dimostrare quello che sanno fare meglio degli altri. L’hanno fatto con un disco a suo modo politico che avrebbe pure le spalle larghe per diventare il manifesto di una consapevolezza generazionale. Un’esplosione senza mezzi termini di intensità, gioia e sudore, capace dopo ogni ascolto di infondere un entusiasmo contagioso. Fatevi avanti.

85/100

(Lorenzo Centini)

20 giugno 2011

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