ROYKSOPP, Junior (Astralwerks, 2009)

Il duo che insieme a Motorpsycho, Jaga Jazzist, Biosphere, Sondre Lerche e Kings Of Convenience ha fatto capire all’Europa e al mondo che la Norvegia non è una terra di vichinghi metallari e sociofobici è tornato. Quattro anni dopo quel “The Understanding” sospeso tra il desiderio di aumentare i bpm e l’inevitabile legame con il sound di uno degli esordi più incredibili di questo decennio, “Melody AM”. Elettronica fredda non priva di spunti tra balearic beats e chill-out, gelide voci pop, downtempo come scelta di vita, squarci trip-hop e sottofondi balneari da happy hour sui fiordi.
Il singolo apripista, “Happy Up Here”, ha subito richiamato il classico “Eple”, pur presentandosi con un piglio più cazzeggione e meno rievocativo. Synth vivaci in un’atmosfera finto-decadente iniettata da campionature spigolose e basi cangianti da revival french touch. Quasi da risposta nordica a Etienne de Crecy in “Vision One” (non inganni l’inizio da campionatura dei Beach House).

Non ci sarebbe nulla di sconvolgente in tutto ciò. Difficile però far finta di nulla mettendo su il secondo singolo “The Girl And The Robot” con quell’intro anni ’80 che pare rubata ai Depeche Mode. Un’irresistibile architettura electro-dance su cui scivola la voce della new sensation del pop scandinavo, Robyn (vedi IKEA-POP vol.9), finalmente esplosa dopo un decennio di dura gavetta in patria. L’effetto è di un imprevedibile punto di raccordo tra Madonna e i Saint Etienne. Non è solo la voce immediata e dai risvolti mainstream della svedese. È piuttosto una questione di soluzioni compositive, dagli arrangiamenti mai così corposi alle ritmiche da dancefloor.
Altrimenti non si spiegherebbe come laddove sbuca fuori la splendida voce di un’altra svedese, Karin Dreijer Andersson, l’effetto sia il medesimo. “Tricky Tricky” è un ipnotico synth-pop, non privo di irrequieti spunti quasi techno e uptempo difficilmente accomunabili a Svein Berge e Torbjørn Brundtland. Così come nell’altro brano nei cui credits figura la ninfa dei The Knife, anche nota come Fever Ray dall’acronimo scelto per il recente esordio solista. L’incontenibile “This Must Be It”, infatti, pur inserendosi sulla scia di quella “What Else Is There?” che nel precedente album aveva lanciato il loro potenziale pop, segue il canovaccio del disco. Trasformandosi in un altro potenziale hit da dancefloor. Persino Anneli Drecker, dallo storico nome dream-pop norvegese dei Bel Canto nonché vocalist dal vivo e voce di un altro classico, “Sharks”, è coinvolta con successo in un altro brano dall’andatura disco, “True To Life”.

A onor del vero, comunque, non si può parlare di “Junior” come di un album del tutto dance e solare, malgrado i due l’abbiano di fatto ammesso, annunciando contestualmente il suo seguito più cupo e ambientale. Si intitolerà “Senior” e – evitando di elucubrare sul nome che darebbe l’idea di un sound più maturo rispetto al figlio “Junior – dovrebbe uscire entro la fine dell’anno. Se si esclude la perentoria chiusura electro di “It’s What I Want” che ha il sapore di un loro remix electro dei Pet Shop Boys, nel resto dell’album non mancano atmosfere meno sostenute. Nell’autocelebrativa suite electro-orchestrale “Röyksopp Forever” e l’altro brano da ambient romantico alla Air, “Silver Cruiser” in cui offrono un pathos cinematografico di rara intensità e che prefigura interessanti sviluppi.
Né mancano momenti più tipicamente Röyksopp. Si pensi al’altro brano interpretato – come le già citata “Vision One” e “True To Life” – dalla Drecker, la vellutata “You Don’t Have A Clue” degna erede del sound degli esordi. O “Miss It So Much”, con gli Air sempre ricorrenti e il valore aggiunto di un’altra featuring di lusso. La giovanissima Lykke Li (vedi IKEA-POP vol.2), big new name svedese, songwriter tout court e risposta indipendente al fenomeno-Robyn rende il brano una perfetta ballad sintetica, in cui la sua voce dolente emerge da un accompagnamento luminoso e vivace. Sempre nella peculiare contraddittorietà tra tinte calde e fredde.

In attesa del suo doppelganger “Senior” e del ritorno del morke tid, il lungo buio invernale della Norvegia settentrionale e della natia Tromsø.

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