MINISTRI, Tempi bui (Universal, 2008)

Alla loro sortita dai sottoboschi milanesi, i Ministri sono riusciti a suscitare contemporaneamente un’insolita attenzione da parte delle testate patinate e la sostanziale indifferenza/diffidenza dei circuiti alternativi più ortodossi. Reazioni opposte, ragioni identiche: il loro gusto per la provocazione, il sapersi esporre anche sulle bancarelle più a rischio sputtanamento e un’innata capacità a scrivere quei brani ruvidi ma a presa rapida che hanno saputo fruttargli un contratto major in tempi brevissimi.

Nemmeno l’opera seconda varrà a porre fine al braccio di ferro fra chi punta tutto su di loro e quelli che, dall’altro capo del tavolo, già li vedevano bruciare tra le fiamme di MTV. “Tempi Bui” non sarà un atto di rinascita del rock italiano, ma non conta neanche un singolo episodio vuoto abbastanza da fare breccia nel cuore del pubblico pop pre-adolescenziale; soltanto prosegue il discorso inaugurato con il predecessore, “I Soldi sono finiti”, dal quale si distacca unicamente per essersi concesso qualche sfizio in più nella confezione. Maggiore cura verso le vocazione melodica per un paio di brani e qualche flirt con il folk che comunque mantiene più il sapore della scappatella passeggera che non di deviazioni stilistiche vere e proprie. Nei pezzi più beceri invece (“Il Bel Canto” e “Bevo” i due migliori) la materia prima rimane la stessa dell’esordio, tanto semplice da rifiutare in blocco le varie etichette di sottocategorie e sottogeneri: né punk, né grunge, né alternative, semplicemente un “rock” che ricalca la concezione Carducciana del termine (interazioni tra basso, chitarra, voce e batteria) e che trova il suo companatico ideale in una manciata di testi dall’indole “pugnoinfaccia”. La penna di Federico Dragona è acuminata senza voler essere né politica né predicatoria, si tempera su efficaci spunti d’attualità e molto carinamente non manca mai di ricordarci quanto sia vicino il Gran Finale.

Predicare l’apocalisse appartiene alla loro filosofia post-ideologica del Pensiero Precario, che rende i Ministri impermeabili a qualsiasi speculazione sul domani. “Il futuro l’avete inventato voi” cantano, e si curano di ribadire il concetto un’altra decina di occasioni, tanto per assicurarsi che abbiamo capito: niente scommesse su di loro, niente scadenze a lungo termine. Ogni concerto è l’ultimo, ogni disco è l’ultimo. E anche se di tempo per decidere una strada ce ne sarebbe, preferiscono non accorgersene e rimanersene accovacciati lì a ridersela del loro presente: che sarà anche “buio”, eppure loro sanno sguazzarci dentro benissimo.

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