GABRIEL STERNBERG, Endless Night (Canebagnato, 2007)

Certi dischi vanno toccati, ancora prima di essere ascoltati: il cartoncino bianco e ruvido (le sue linee tracciate a penna che disegnano città vuote e stelle) che avvolge questo “Endless night”, il debutto solista dell’italo-tedesco Gabriel Sternberg, crea intimità da subito. Sai già che andrai ad ascoltare qualcosa di fragile e prezioso, ed è anche il cognome di Gabriel ad accarezzare piano: Sternberg. La montagna delle stelle.

É musica da cameretta, insomma, se questa non fosse un’espressione detestabile, ma in questi undici bozzetti i rumori della casa entrano a pieno diritto nelle canzoni; la radio lasciata accesa, una sveglia che ticchetta con insistenza, perfino un vecchio proiettore di pellicola, non sono affatto casuali: è come se Gabriel stesse suonando le sue note semplicissime seduto sul letto, e avesse bisogno di lasciar vagare altre presenze nella sua casa. Come se percepire suoni esterni fosse un modo di sentirsi meno soli.

“Endless night” è un disco fatto con pochissimo: una chitarra acustica, una voce calda e un pianoforte. Qualche intervento di basso e una vecchia Casio recuperata dalla soffitta (è Cristian Alati dei Cods, a lungo al fianco dei desaparecidos Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo, a colorare piano “Willow tree”). Testi semplicissimi, quasi come gli accordi della chitarra.

Non c’è altro. Ma chi si è innamorato della solitudine di Bob Corn, e riuscirà a sentire tra le note lo stesso feeling dei brani acustici di “The bends” dei Radiohead – solo, infinitamente più intimi – o della quiete sorridente del debutto solista di Marta Collica, dovrebbe uscire adesso, e cercare questo bellissimo, piccolo album.

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