GRANT-LEE PHILLIPS, “Mobilize” (Zoe/Rounder, 2001)

La sorte sembrava aver voltato le spalle a Grant Lee Phillips. Sciolti i Grant Lee Buffalo, detto per inciso uno dei gruppi più sottovalutati degli anni novanta, si è trovato senza un casa discografica disposta ad appoggiarlo e, in generale, senza particolari attenzioni da parte del mondo musicale. Chissà che questa non si sia rivelata invece la sua fortuna. Lasciato libero di voltare pagina, senza legami e senza grandi attese a cui prestare attenzione, Grant Lee ha colto l’occasione per esprimere fino in fondo tutta la propria creatività. O meglio, come dice ringraziando i propri maestri Michael Stipe e Robyn Hitchcock, per seguire una visione.
Ossia una propria idea di musica.

Ecco cos’è “Mobilize”, uscito da qualche mese negli Stati Uniti ma ancora senza distribuzione in Italia, e non a caso il musicista americano lo ha inciso praticamente tutto da solo. Il disco della svolta, si direbbe in questo caso, in ogni caso il disco che ha il merito di riportarci il talento di Grant Lee Phillips lucido come ai tempi di “Fuzzy” e “Mighty Joe Moon”. Sebbene sia un artista cambiato, perché “Mobilize” è un lavoro che trasuda curiosità e inventiva, idee e suoni, elettronica e chitarre, in cui i suoni rimandano ai Beach Boys di “Pet Sounds”, agli ultimi R.E.M e ai Radiohead di “OK Computer”.

Pieno zeppo di melodie, come sono lì a dimostrare le armonie solari di “We All Get a Taste” e “Beautiful Dreamers”, due autentiche delizie pop, e l’incedere trascinante di “Humankind”. Ma anche ricco di canzoni che si muovono più lente e profonde. Si prendano l’apertura classica di “See America” oppure il dolce naufragio sintetico di “Lazily Drawning” o ancora la scarna e dolorosa “Like a Lover”, straordinario esempio di incontro tra musica elettronica e acustica. E per dire quali siano diventati gli orizzonti di Grant Lee Phillips basta ascoltare “Spring Released”, ritmica spezzata e intrecci di chitarra a ricordare addirittura il Beck di “Odelay”.

Un disco sigillato da due ballate eccellenti, “April Chimes” e soprattutto “Sleepless Lake”, placida e sognante distesa acustica che non può non incantare. Un ritorno in grande stile.

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