THE CURE, Wild Mood Swings (Fiction Records, 1996)

Gli anni ’90 passano velocemente per i Cure, che presentano solo due album in studio: in compenso si sprecano i Live (di cui il migliore è sicuramente “Cure Paris”) e le raccolte, mai esaltanti (particolarmente deludente e mediocre “Galore”).

Nel 1996, comunque, esce “Wild Mood Swings”, da tutti atteso come il seguito dell’esaltante “Wish”. Attese costrette a rimanere tali: l’album, stabilizzate ormai le sonorità in quell’area che divide il pop dal dark, non propone nulla di nuovo, nulla di emozionante, nulla di realmente importante. Oddio, non mancano i soliti brani innegabilmente ben curati, come “Want”, “Club America”, i soliti brani lirici e fascinanti (“This is a Lie”, “Jupiter Crash” e “Treasure”), i soliti brani pop da alta classifica (il furbissimo singolo “Mint Car”, le già sentite “Round & Round & Round” e “Return”) ma tutto appare falso, forzato, come se i Cure sentissero la necessità di ribadire un concetto ormai chiaro a tutti. E’ come se Robert Smith avesse ripreso uno ad uno i capolavori di “Wish”, li avesse riletti e riproposti in una versione decisamente meno ispirata: questo, da un gruppo come i Cure, lascia alquanto stupefatti.

Non è certo esagerato dire che “Wild Mood Swings” è il punto più basso di una carriera ormai ventennale; neanche con “The Top” il gruppo aveva così lasciate indifese le proprie carte. Lì almeno persistevano brani come “The Caterpillar”, qui veramente c’è poco da salvare. Sprazzi, idee non disprezzabili risuonano nell’aria, ma l’atmosfera è svogliata, poco seducente, in fin dei conti profondamente annoiante. Sia chiaro, i brani scorrono via con facilità, ma è proprio questa facilità d’ascolto a deludere, laddove anche negli episodi più commerciali il gruppo si era sempre contraddistinto per la sua raffinata capacità di intersecare i motivi musicali e sottometterli alla propria ideologia ora i brani sono quello che sembrano, senza nessun recondito segreto nascosto, senza nessuno scheletro, senza nessuna seduzione, appunto. L’unico punto di reale interesse è il ritrovato interessamento per le chitarre distorte. Ma è un po’ poco, non vi pare?

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