JOY DIVISION, Unknown Pleasures (Factory, 1979)

Se c’è qualcosa che può essere preso a paradigma della purezza del dark, senza dubbio questo qualcosa è l’esordio dei Joy Division. Con il termine dark non ancora entrato nel gergo comune – si parla ancora di post-punk – e dopo aver cambiato nome (in precedenza il gruppo si chiamava Warsaw) i Joy Division irrompono sulla scena musicale inglese con una forza e una decisione raramente riscontrabili in un esordio.

Fin dall’attacco di “Disorder” si intuisce che qualcosa di nuovo si sta muovendo, sta strisciando nel sottosuolo londinese e si sta espandendo: il brano si dipana lungo i suoi quattro minuti mescolando tutto ciò che è già esistito, dal rock’n’roll alla rabbia punk, e reinserendolo in un’atmosfera catacombale, cupa, ben sorretta dalla voce di Ian Curtis, anima del gruppo. Forse ancora più d’impatto “Day of the Lords”, dove la chitarra distorta e il basso quasi sovrastano la voce del cantante, mentre più soft, con un’andatura quasi alla Doors – a parte le tastiere tanto care a Jim Morrison – arriva “Candidate”. I capolavori disseminati dalla band quasi con noncuranza continuano a risuonare: la splendida, irraggiungibile “She’s Lost Control”, la profonda e disperata “Shadowplay”, dove il basso irradia luce aspettando l’ingresso preponderante della chitarra e della voce, e aspettando che tutto ridiscenda nell’ombra; la veloce suite “Interzone” che anticipa la lunghissima “I Remember Nothing”, dove attraverso il lento incedere funereo del basso e della batteria si sviluppa la filosofia nichilista della band.

E si comprende come non sia la rabbia nuda e cruda della generazione punk, dei vari Sex Pistols, Ramones, Clash e Buzzcocks a identificare il nuovo suono, quanto un lacerante senso di frustrazione cosmica, un’inadeguatezza del vivere, un inafferrabile desiderio di rivalsa verso se stessi, destinato miseramente a fallire. Da questa devastante sincerità – propria anche dei Cure – nascerà il cliché dark, la sua commercializzazione, la sua perdita d’identità. Identità che i Joy Division perderanno l’anno successivo, con il suicidio di Ian Curtis, cui seguirà la nascita dei New Order, del dark elettronico, del pop dark e quant’altro si voglia. Qui, a più di vent’anni di distanza, rimane “la divisione della gioia” (nei campi di sterminio nazisti era il nome dato alle detenute costrette a soddisfare sessualmente i soldati) pura, semplice, inattaccabile, davanti alla forza della quale non ci si può non arrendere.

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