OZZY OSBOURNE, Down To Earth (Sony/Epic, 2001)

Se oggi possiamo bearci della presenza in TV o sui nostri stereo di scimmiotti sanguinolenti ricoperti di croci e altri simboli sacrileghi, dobbiamo ringraziare quel paffuto signore di nome Ozzy Osbourne. E fin qui i meriti non sono granché. Ma se ricordiamo che Ozzy, oltre ad essere stato il cantante di una delle band hard rock più famose della storia, ha sfornato per vent’anni dischi tra il il più che dignitoso e lo straordinario, allora ci rendiamo conto della statura artistica del soggetto.

Ma la bravura di Ozzy la si può ritrovare anche nella sua capacità di circondarsi di grandiosi musicisti, che sotto la sua ala (verrebbe da pensare ad un’ala di pipistrello!) riescono ad esprimere al massimo potenzialità che altrimenti difficilmente forse sarebbero venute a galla. “Down To Earth”, attesissimo nuovo album dopo i bagni di gloria della raccolta “Ozzman Cometh”, trova infatti al fianco di Osbourne l’ormai fidato alfiere Zakk Wylde, chitarra “svelta” ma mai stucchevolmente tecnica, alter ego ideale per l’istrionico Ozzy.

L’album esordisce con “Gets Me Through”, primo singolo tratto dal disco. La canzone è tutto ciò che ci potremmo aspettare dal buon Ozzy: dopo una brevissima intro affidata ad un arpeggio di pianoforte degno dei Goblin, irrompe la chitarra volgare di Wylde con un riff minaccioso su cui si aggrappa presto la voce di un Osbourne perfettamente in forma. Certamente un buon biglietto da visita per quanti hanno fame di hard rock.

Il resto del disco non è da meno. Già al secondo brano la formula si ripete: arpeggio “horror” subito seguito dall’invasione di suono di Wylde. E forse per quanti seguono l’evoluzione della band di Ozzy da parecchio tempo, la vera sorpresa potrebbe essere proprio il fido Zakk. Dopo l’ubriacatura anni ’90 di funamboli della sei corde, ritroviamo un musicista discreto, mai esagerato, da sempre forse più vicino a dei Duane Allman piuttosto che a degli Steve Vai. Chiariamoci, la tecnica c’è e tanta, ma viene spesso e volentieri sacrificata per un ben più accattivante lirismo. E qui il mai compianto abbastanza Randy Rhoads, prima chitarra di Ozzy solista, ha sicuramente fatto scuola. Anche negli episodi più “soft” il nostro Zakk rivela una delicatezza e un tocco insospettati. Invece nessuna sorpresa da parte di Ozzy. L’ex leader dei Black Sabbath da sempre è in grado di alternare pezzi tiratissimi (che in questo disco certo non mancano; vedi “Junkie” o “Can You Hear Them?”) a dolci ballate tirabaci a cui ci ha abituato da tempo. La ballatona di turno si chiama “Dreamer”, soffice batuffolo di note che potrebbe trovare la sua dignità anche tra le mani e le ugole inesperte dei Lunapop.
al miracolo, o che faccia sussultare di stupore ad ogni brano; è sicuramente un onestissimo disco hard rock, realizzato da un artista che, pur essendosi ormai trasformato in un personaggio da merchandising, non ha bisogno di trovare formule musicali furbe o di circostanza per entrare direttamente nel cuore di vecchi e nuovi fans.

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