BADLY DRAWN BOY, The Hour Of Bewilderbeast (XL Recordings, 2000)

Con questo disco d’esordio Badly Drawn Boy, ossia Damon Gough, si è guadagnato il Mercury Prize per il disco inglese dell’anno prevalendo su gente come Coldplay e Richard Ashcroft e conquistandosi l’appellativo di Beck inglese.

Tralasciando paragoni che possono essere giustificati forse sul piano dell’attitudine ma non certo della musica, è bello scoprire un altro disco britannico con quello spirito fresco e vitale che già anima per esempio It’s Jo and Danny o Belle&Sebastian. La stessa sensazione di ingenuità e purezza, la stessa voglia di mettere la musica e le canzoni al centro di tutto.

E di canzoni in questo lavoro ce ne sono molte, addirittura diciotto. Basterebbe soffermarsi sull’iniziale “The Shining”, una magia acustica che ricorda Nick Drake, o sulla suadente dolcezza di “Pissing In The Wind” o sulle influenze jazz di “Around the Block” per farsi conquistare.
Ma il disco sfodera anche canzoni pop quasi perfette, “Fishing In The Water”, “Camping Next to Water” e “Another Pearl”, e rispolvera il rock come lo suonavano gli Stone Roses, “Everybody Stalking” e “Cause a Rockslide”. Poi diventa quasi funky, “Disillusion”, si innamora dei Beatles, la pianistica “Magic In The Air”, e scivola nella bassa fedeltà, “Epitaph”.

Magari si avventura anche in ambiziosi strumentali, “Bewilderbeast”, e in pochi minuti di hip-hop, lo scherzo di “Body rap”. Ma sono le canzoni a fare la differenza. Dolci amare come un libro di Nick Hornby o un disco di Elliott Smith, sono avvolte in un’atmosfera di adolescenza perenne. E confessano: “I never grow older” (“Camping Next To Water”). Dedicato a chi fatica a crescere.

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