DAVID EUGENE EDWARDS, “Hyacinth” (Sargent House, 2023)

Prodotto da Chelsea Wolfe, il primo vero album solista per il frontman dei Wovenhand è composto da nove canzoni che rinnovano la capacità di Edwards di percorrere e proseguire quella strada che con i suoi precedenti progetti aveva intrapreso.

Ispirato in parte dal mito greco di Apollo e Giacinto (Hyacinth appunto) Edwards intreccia il mito con il “moderno” usando strumenti acustici stratificati da effetti e distorsioni moderne.
Già dall’inizio la industrial “Seraph” si divide tra l’antico e il moderno mentre “Howling Flower” è un canto funebre costruito su un’atmosfera minacciosa e intricate melodie acustiche.

Nella title track si sente la voce mantenere quella cadenza inquietante e suggestiva che sostenuta da una musica grezza e inquietante, manda alle profondità dell’anima. Invece il singolo “Lionisis”, ha un po’ più di ‘luce’ e risulta a tratti trascinante e incalzante alternando immagini e simboli legati all’immaginario onirico e animale (Rise hidden lion / In the sightless eyes / Earth born Orion / Dragon thou shalt / Rise hidden lion / In the sightless eyes / Earth born Orion).
“Weaver bean”, una cupa ballata che arriva dal profondo dell’anima con degli inserti cupi, echi e riverberi dà la sensazione di essere persi nel deserto di notte, senza scampo e braccati.

Come sempre non mancano lei immagini e simbolismi biblici come quelli personali e introspettivi, il blues più cupo come nella finale “The Cuckoo”, sembra presa dal songbook del folk tradizionale impregnato di quel suono gotico che ne enfatizza il valore ‘maledetto’.

Per arrivare a comporre un lavoro così introspettivo e talmente profondo che difficilmente può lasciare indifferenti, soprattutto dopo quasi tre decenni di musica, usando il proprio nome senza nascondersi, significa che la ricerca del buio e dell’angoscia dell’anima per Edwards non è ancora conclusa.
Certo, ha preso un’altra forma e si sta evolvendo in qualcosa che ancora probabilmente neanche David Eugene Edwards non sa, ma non sembra esserci un limite che probabilmente solo il talento del cantante riuscirà a trovare.

Un album così non può che rimanere dentro per molto tempo tanto che al termine si sente la necessità di riemergere ed uscire a riprendere fiato come riemersi dal fondo dell’oceano.

85/100

(Raffaele Concollato)