Al Barezzi i Calexico rendono immortale “Feast Of Wire”

Quando finirono gli Anni Zero pubblicammo una mastodontica Top 100 degli album più importanti del Decennio, e “Feast Of Wire” dei Calexico c’era, più precisamente al 51° posto. Per fortuna dunque che non dobbiamo fare come Pitchfork che ridà i voti revisionandoli dopo anni sulla scia della cancel culture (o, meglio, come direbbero i miei nonni, sul solco del “col senno di poi…”). Ci avevamo visto giusto, quella volta.

“Feast Of Wire” è stato suonato interamente dai Calexico ieri sera all’evento inaugurale del Barezzi Festival, per l’occasione in trasferta a Reggio Emilia al Teatro Valli, e ha ri-dimostrato tutta la sua forza e fascino, anche e se non di più dopo 20 anni. È un album che ingloba generi diversi (folk, rock, musica messicana, desertica, jazz, mambo) e che ieri sera nella sua dimensione live i Calexico sono riusciti a tratteggiare – si potrebbe dire esagerando un po’ ma non poi di tanto – come “immortale”: il suo alternarsi di melodie senza tempo (“Quattro – World Drifts In”, “Woven Birds”, “Black Heart”, “Across The Wire”) con strumentali dall’afflato cinematografico (“Close Behind”, “Whipping The Horse’s Eye”) e psichedelico (“Pepita”, “Crumble”) è stato di una bellezza clamorosa.

Chiaramente è l’affiatamento della band che conta, e la facilità con cui i Calexico suonano dimostra che si divertono e, di conseguenza, coinvolgono. Quando vogliono spingono sull’acceleratore alla maniera dei migliori (leggasi Wilco), come nella versione quasi post punk di “Love Will Tear Us Apart” mixata all’interno di “Not Even Stevie Nicks…”, quando intendono rendere poetica l’atmosfera Joey Burns si prende la chitarra acustica e parte lui, quando gli piace rendere frizzante il mood si uniscono le trombe di Jacob Valenzuela (un vero trascinatore) e Martin Wenk. Dietro a Burns quel gran cerimoniere che è John Conventino tira i fili della rappresentazione con dinamiche inaudite, accomodamenti delicati, ripartenze rimbombanti, mentre Sergio Mendoza dà colore con fisarmonica e tastiere.

È una grande festa paesana, usando questa definizione nella sua accezione più nobile: è quella sagra che attendi da tempo e che ti infonde calore al cuore, in cui puoi incrociare lo sguardo della bella del paese che ami segretamente e a cui non ti sei ancora dichiarato, in cui puoi ballare lasciandoti andare, in cui puoi fermarti un attimo e sperare in giorni migliori. Solo che è una festa di confine, nel deserto e in Messico, a Cuba e nei profondi States. I Calexico ieri sera sono stati tutto questo nella celebrazione di “Feast Of Wire” e la messa in scena di Reggio Emilia ci fa amare ancora di più quell’album: lo riveste, nella nostra testa, di ulteriori vibrazioni e onde sonore inudibili nella versione in studio ma che chi c’era al Valli potrà ugualmente sentire, da oggi in poi, tra i solchi. Ma anche chi non era presente potrà, riascoltandolo, entrare in sintonia con la band di Tucson e sorridere: i Calexico mettono di buonumore.

P.S. Un capitolo a parte deve essere speso per Brian Lopez, cantautore sempre di Tucson che ha sia aperto il concerto con i suoi pezzi solista, sia accompagnato i Calexico con chitarra elettrica e basso. La sua duttilità vocale “alla Jeff Buckley” è stata straordinaria e a questo punto bisognerà approfondire la sua carriera solista (ha 3 album all’attivo) perché se l’è meritato. Da annotare la sua cover di “Immensità” di Andrea Lazlo de Simone, con un paio di accordi sbagliati ma poco importa.

(Paolo Bardelli)

Scaletta:

Sunken Waltz

Quattro

Black Heart

Pepita

Not Even Stevie Nicks… / Love Will Tear Us Apart

Close Behind

Woven Birds

Attack el Robot! Attack!

Across the Wire

Dub Latina

Alone Again Or (Love cover)

Güero canelo

Crumble

No Doze

Encore:

Fortune Teller (Joey Burns solo)

Minas de cobre

Inspiracion

Flores y tamales

Encore 2:

Corona (Minutemen cover)

Crystal Frontier