THE 1975, “Notes On A Conditional Form” (Dirty Hit / Polydor Records 2020)

Quando pubblichi un album composto da 22 brani o ti sei fatto prendere la mano oppure, per eccesso di zelo, lo sopravvaluti. Non so cosa abbiano pensato The 1975 con “Notes On A Conditional Form” ma ciò che è certo è che sembra essere cresciuto in modo sproporzionato.
“C’è sempre stato un piano generale” – assicura la band di Manchester – “abbiamo voluto chiudere un percorso iniziato con “Music for Cars” che sarebbe dovuto terminare con NOACF pensato come l’immediato follow-up di “A Brief Inquiry into Online Relationships”, ma durante la sua lavorazione ci siamo immediatamente accorti che “Notes” stava avendo una gestazione più lunga del previsto.”
Intrecciando hip-hop, synthpop, rock alternativo, RnB e new wave con programmi pseudo concettuali, la band gioca bene le sue carte, compensando la mancanza di idee importanti con l’inclusione di tutti i generi a loro cari.
Laddove l’album “nero” ha cavalcato l’emozione estiva accaparrandosi consensi soprattutto tra i giovanissimi, quello “rosa” ha sovvertito la situazione grazie al suo plastic-pop anni ’80 orientandosi verso un pubblico più varieato per poi raggiungere lo stile musicale ideale della band con l’album “bianco”. “NOACF” non ha cercato di raggiungere alcun compromesso, ha voluto semplicemente trasmettere tutto ciò che la band aveva da dire senza lasciare fuori nulla.
Prendiamo l’intro di “The 1975”, brano omonimo in continua evoluzione che il gruppo rielabora in chiave diversa ad ogni disco: questa volta le note ambient accompagnano un monologo ispirato di Greta Thunberg e la produzione elettronica alla Brian Eno fa da cornice al saggio letto dall’attivista ambientale che regala un’intro appassionata con il suo appello accorato ad agire per contrastare i cambiamenti climatici.
Da qui NOACF si sviluppa in modo eclettico in continuo equilibrio instabile sul confine sonoro tra i vari generi: dal trash punk urlato di “People” alla toccante ballata folk semi acustica di “Jesus Christ 2005 God Bless America” che vede Matty Healy duettare con Phoebe Bridgers, passando per le chitarre shoegaze di “Then because She Goes”, i beat elettro-pop in “Frail State of Mind” fino ad arrivare alle melodie scanzonate di “Me & You Together Song”, che sembra quasi uscire dalla programmazione MTV anni ‘90.
Insieme a Greta Thunberg e alla Bridgers, anche la divina FKA Twigs ha prestato la sua voce ultraterrena duettando nel pop al neon di “If You’re Too Shy (Let Me Know)” e l’ipnotico dance “What Should I Say”. Ma c’è molto molto di più. Il disco offre anche una manciata di tracce unicamente strumentali che spezzano e rilassano come “The End (Music for Cars)” e “Streaming” in netta contrapposizione con la base elettro alla Burial di “Shiny Collarbone” – dove fa capolino la voce del musicista di dancehall giamaicano Cutty Ranks – e dell’ibrido disco-ambient di “Having No Head”.
I quattro di Manchester ritornano alle origini con “The Birthday party”, che mette in luce la capacità di Healy di trasmettere emozioni come solo Taylor Swift saprebbe fare, e con la traccia post-grunge dalla chitarra jangly “Then Because She Goes”, mentre il racconto frenetico della vita in tour di “Roadkill” lascia trasparire sentimenti di irrequietezza del cantante per la mancanza di privacy dovuta alla vita da “rockstar”.
A chiudere Notes “Guys”, una vera e propria dichiarazione d’amore da parte di Healy agli altri componenti della band: “You guys are the best thing that ever happened to me”, ripete fino allo scemare del pezzo, che come una colonna sonora accompagna la fine di un lungo film su cui la critica si divide e il pubblico resta interdetto sul giudizio finale.

65/100

(Simona D’Angelo)