PHARMAKON, “Contact” (Sacred Bones Records, 2017)

Mi trovo di nuovo davanti al difficile quesito per stabilire cosa è musica e cosa no. Partendo dal presupposto che sono un fautore della melodia (non quella spacca-mutande) ma quella potente e veloce condensata in tre minuti, ritengo che la risposta alla domanda sia “qualsiasi cosa dia emozione”. La musica è tutto ciò che genera reazione. Allora si, anche il nuovo disco di Margaret Chardiet, alias Pharmakon, può definirsi tale. Solo che stiamo parlando di emozioni che generano paura, ansia, tormento. Nell’ascoltare il terzo disco (quarto se consideriamo l’EP del 2009 sotto BloodLust! Records) della fanciulla che distrugge il rumore, ho provato effettivamente più paura che gioia, le bordate industrial mi hanno fatto sobbalzare e le urla belluine e ansiogene mi hanno riportato bambino, quando cercavo il Babau dietro la porta o sotto il letto. In questo caso, questa è musica personale, difficile da condividere, perché solitamente le persone (normali, mi vien da pensare) ascoltano musica per riposarsi o rilassarsi. Dopo questi sei pezzi io ne sono uscito esausto, affaticato mentalmente, anche quando il noise di pezzi come “Sentient” o “Somatic” non esplodono mai e rimangono un terrificante rumore di fondo. Il resto della scaletta è il solito naufragare in torbidi anfratti demoniaci, squarciati non da luci ma da grida e fragori metallici, tensioni, litanie spezzate dal rumore.

Voto “dieci” per il coraggio di credere che esistono persone che cercano emozioni “diverse”. Voto “due” perché la formula è abusata non solo dalla bella Margaret. La media è il sei matematico che accontenta angeli (coloro che non vogliono bruciare) e demoni (me compreso, che ho le cellule cerebrali avvizzite).

60/100

(Nicola Guerra)