JUNIP, “Junip” (City Slang, 2013)

9558-2_junip_CD_ecopack_2013-01-22_01.inddSiamo a metà dell’anno solare e la lista delle cose musicali degne di nota comincia ad allungarsi.
Tutte o quasi puntano più o meno esplicitamente agli anni ’70 e ai suoni disco-soul di riferimento. Quella è la strada, accodarsi prego soddisfatti o rimborsati, le cose stanno così.

E proprio intriso di gusto vintage ecco che esce “Junip”, il titolo del secondo disco dei Junip, creatura musicale plasmata a immagine e somiglianza di José Gonzàlez, un tizio pacato misto svedese-argentino che già magari si conosceva per un paio di cover (“Hearbeat” dei Knife e “Teardrop” dei Massive Attack) e ancora più magari per un disco solista non così male uscito un po’ di anni fa (“In Our Nature”, 2007).

“Junip” dei Junip conta dieci canzoni in tutto. Caldissime, legnose, soffuse, suadenti. Suonate in maniera eccelsa, contaminate di lounge, jazz e ricamate agli orli di perfezionismi certosini. Le influenze ci sono, e tanto vale scriverle: “Your Life Your Call” mescola elettronica e suoni caldi, come già gli Air ci avevano fatto sentire e bene tempo fa in “Moon Safari”; “After All Is Said And Done” ricorda i Talk Talk, “Suddenly” Bon Iver.
Ma mai si eccede nel citazionismo, perché i Junip il loro ce lo mettono sempre. Questo si può dire: Gonzàlez e amici fanno la degna e rispettabile figura degli artigiani, che sanno fare molto bene le cose che fanno. “So Clear” incalza, “Line of Fire” ipnotizza, “Walking Lightly”, mette il cuore in quiete, “Villan” suona di basso saturo come le jam session fatte a modo.

Tutto buono quindi? Chi scrive si sente di dire , ma senza toni entusiastici.
Se l’entusiasmo non arriva è perché a mancare, nel corso del disco, è il momento di svolta, quel pezzo così bello che ci ricorderemo per un po’. Manca il nervo, e non è un caso se nelle righe sopra si è detto cose come “artigiani” e “jam session”: Junip dei Junip dà la sensazione di esserci ma di spegnersi alla lunga. In fondo gli artigiani possono essere tanto bravi ma artigiani rimangono e le jam session dopo un po’ stancano inevitabilmente.
Chi scrive ricorda ancora con affetto il primo album dei Junip, “Fields”, un gioiellino uscito in sordina del 2010. Non si vuole fare i nostalgici del disco d’esordio, ma lì le cose sembravano poter andare diversamente: tutto prometteva bene. A questa seconda prova invece le cose non cambiano e rimangono pregiate, ma non ci sono capolavori.

70/100

(Enrico Stradi)

3 giugno 2013

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