GRANPROGETTO, “La Cena Del Bestione” (Millessei, 2013)

indexDopo anni di rodaggio e messa a punto esce il pantagruelico “La Cena Del Bestione” primo album dei Granprogetto (Marco Balducci, Francesco Fanciullacci, Davide Miano), trio toscano nato “de corsa” nel lontano 2006 dalle svolazzanti ceneri de La Camera Migliore, che in stile e prospettiva risentiva molto della madrina Carmen Consoli. Per il loro debutto discografico i nostri, con l’intento di far prevalere un approccio istintivo, usano la carta del full live registrando in un’unica presa diretta. Estenuante, vista la mole di lavoro eseguito, 13 tracce che non si discostano dall’indie e alternative rock anni ’90 che li ha formati (Albini “inventava” in quegli anni la ricerca di spontaneità del suono proprio nelle registrazioni in presa diretta), qui caricato di tutte le intenzioni delle opere prime, ovverosia sparare tutti i colpi in canna per fulminare l’ascoltatore con l’urgenza della propria arte.

Alcune pallottole vanno a segno, è vero. Ma sono purtroppo molto poche. Dopo le dimenticabili “Allo zoo” innocuo combat folk, “Frateferroviere” a suo modo proposta elettrica à la Baustelle, e “Cazzurillo” che ripulisce i Dinosaur Jr., giunge a segno la prima pallottola, un colpo di striscio alla spalla che ti fa un po’ roteare: “Eccolo, Fermi” un controtempo soft già sentito è vero, ma catchy! La seconda pallottola “Roy Scheider” ti spizzica l’orecchio con un simpatico esperimento di Motorpsycho all’italiana dove il basso è la massa più veloce che c’è! Altri proiettili dalla debole traiettoria – troppi in effetti – e la terza pallottola, “Pianta Grassa” che riesce finalmente a coniugare sense, metrica italiana e flessibile struttura rock. “Parti Ma Resti Nella Comunità Europea” un valzer morbido e umile che andava ballato, e quando si è schivato l’impossibile, infine la pallottola quasi mortale che colpisce il cuore – era ora per fortuna! – la poetica e commovente psichedelia della conclusiva “Kronoporta Spaziale” lungo brano strumentale che cresce in linea retta e si riproduce per polloni con incisiva espressività, minimale e finalmente portatore di profonda compiutezza.

Ma poteva andare molto meglio. Peccato, è il caso di dire, perché pochi gruppi in Italia sanno esporre con lo stesso orgoglio mostrato dai Granprogetto le coordinate musicali che li guidano e li ispirano verso personali visioni oggi veramente poco battute. Troppo colmo il vaso, troppi brani programmatici, troppa intenzione di “spiazzare” per un lavoro che venendo da anni di incubazione doveva giocarsi il tutto e per tutto sul controllo del proprio ego: è potando i rami in più che la vite sale ambiziosa e grandiosa, foriera di buoni frutti e buon vino.

62/100

(Stefania Italiano)

31 maggio 2013

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