MIRRORS, “Lights And Offerings” (Skint, 2011)

Qualche settimana fa, nel bel mezzo di una spedizione “egittologica” nei meandri di un mercatino domenicale delle pulci, ci siamo portati a casa (non senza un pizzico di orgoglio), per un pugno sonante di euro, un esemplare vinilico di “Architecture And Morality”, lp dei liverpooliani Orchestral Manouvers In The Dark risalente al lontano 1981 e vero e proprio pilastro fondante dell’epopea synth-pop tutta: costruttivismo modulare, linee geometriche in bilico tra algebra pura e sound-design minimale, architetture austere e funzionali, un po’ Piet Mondrian un po’ Kraftwerk, e, soprattutto, canzoni, tantissime canzoni-macchina capaci di articolare i postulati di una bellezza senza ornamento (e, soprattutto, senza il suo delitto, come subito chioserebbe il teorico ante litteram Adolf Loos). Irripetibile.

Omd che l’anno scorso sono tornati con un album grigio e trascurabile (“History Of Modern”, non cercatelo) cui ha fatto seguito anche un tour europeo, che ha avuto, tra gli altri, come gruppo-spalla i giovani figliocci (da Brighton) Mirrors. Questi Specchi, vestiti di tutto punto e opportunamente incravattati, tanto per mettere subito le cose a riparo da equivoci interpretativi, sono in quattro e suonano esclusivamente sintetizzatori e batterie elettroniche. Il loro esordio “Lights And Offerings”, assieme probabilmente al più tropicale e vacanziero “Zonoscope” degli australiani Cut Copy, rischia sul serio di diventare il più basso e doloroso colpo assestato quest’anno alle nostre budella (ma anche al nostro cuore) dal sempiterno revival anni Ottanta.

Ed è così che scorre il ventaglio digitale senza una grinza di “Fear Of Drowing”, “Somewhere Strange” (da brivido), “Write Trough The Night” o “Ways To And End”, snodando un interplay radioso e piacevole, imbevuto di un romanticismo che getta il cuore su ritornelli perfidi quanto melliflui, divertendosi a giocherellare sporco con sentimenti e infatuazioni sin troppo famigliari o ancora fresche. Un disco da safari notturno attraverso i prodigi dell’ecosistema metropolitano ma capace, all’occorrenza, di tirare fuori dal taschino lenti della mattonella da ballare come un addio, stretti cuore contro cuore alla compagna (o al compagno) che parte per non più tornare indietro.
Morale della favola: come disse una volta il poeta, mai sottovalutare i sopravvalutati.

78/100

(Francesco Giordani)

6 maggio 2011

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