ENIL LA FAM, “Midst” (Autoprodotto, 2010)

Gli Enil La Fam, italiani è bene ricordare, sono guardiani non improvvisati, questo è da riconoscere, di un cimitero infestato, di un mondo musicale che si aggira come uno spettro amletico in cerca di un novello eletto che sorga a rendere giustizia ad amarezze non ancora ben cantate e a derive e deserti psichici involgariti dal prodotto ben impacchettato.
Con padronanza e assimilazione genetica producono la loro opera prima “Midst” distillato (post)grunge, un breviario di ciò che resta e quindi resiste degli anni ’90, anni furenti, brevi e plumbei, spesi a vivere di corsa la conclusione di un millennio. Si tratta di un lavoretto che fodera lo spirito critico per almeno i primi quattro brani (“S&M”, “Peculiar”, “Sick”, “Runaway”) con quella malinconia livida e graffiata che è stato il marchio di un’intera epoca… e poi i suoni legnosi, le chitarre scolpite in pietra, i pizzicori da ludibrio del basso… un sogno, un’illusione dai quali ci si risveglia presto. Infatti la fatica di presentare il proprio colpo d’occhio si fa già sentire in “Load”, l’affanno è soffocante in “Into You” per trovare il suo collasso in “Gossip” (peccato quelle prime belle battute di batteria annullate in un colpevole grigiore anonimo che il sound garage non emenda). Dopo una triade senza onore e gloria, arriva in sordina “Cycle” tentativo che riesce a evitare lo schianto grazie ad un malato pianofortino finale cui piangiamo dietro, per lo sfoggio tardivo di un’idea che sia un’idea. La quota è ripresa a stento con “Raw” dolorante ma posticcia dentro, in fondo unico tono di tutto l’album; il volo è però breve perché con “The Fail” i giochi in tre minutini sono già chiusi, con una fretta che forse tradisce la volontà finale degli Enil La Fam di ammazzare il cavallo azzoppato.

“Midst” è un tour ad occhi aperti, che mima pedissequamente un attacco, un procedere, un disagio, un noto disturbo interiore, è un museo manierato, dove il malessere viene ricreato virtualmente per i visitatori senza sporcare veramente. Il dolore e l’energia nel proporlo non possono più essere sudici e malandati perché per riprodurli bisognerebbe viverli alla stessa maniera, o bisognerebbe essere grandi prestigiatori affabulatori, che sono quelli che distogliendo l’attenzione dal trucco con parole stordenti, fanno riuscire meglio la magia. E non credo che gli Enil La Fam siano grandi prestigiatori.
Apprendisti maghi può darsi, giovani twenty-something di certo, quei giovani cioé nati e cresciuti nell’illusoria certezza dei diritti e del benessere, e che nel fondo delle loro anime di artisti percepiscono che qualcosa non va come sembrerebbe, ma non hanno tragicamente più un loro linguaggio, nuovo, altro, vivo, per esprimere un disagio rabbioso che c’è. E allora si dibattono utilizzando il linguaggio di un’altra stagione, di un altro sentire, di un tempo in cui l’alterità (come se fossero passati decadi e decadi) anche se morente era ancora tra noi. Non potendo dire assolutamente nulla su di noi, qui dopo un 2010 appena tramontato. In questo e solo in questo senso “Midst” è un album tragico e disperato.

55/100

(Stefania Italiano)

2 febbraio 2011

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