Angusto camerino nel piccolo backstage del palco principale del Festival della Creavitità di Firenze. Patrick Wolf, il 26enne capace di realizzare quattro indiscutibili gemme tra tradizione classica e sperimentazione, si presenta in una mise quasi moderata rispetto alle sue abitudini. Tornato all’ossigenato biondo, camicia aperta, maglia bianca a pois, pantaloncino di jeans stretto e immancabile stivale. Ultima tappa della leg europea del tour di “The Bachelor” per l’ineffabile talento dell’Inghilterra degli anni Zero. Una rilassata chiacchiera tra passato, progetti presenti, futuri e molto futuri. Con un’inaspettata divagazione socio-politica sul problema dell’omofobia ricordando la scandalosa aggressione subita da Patrick durante il concerto di Madonna qualche mese fa. Inaspettata anche per lui probabilmente, dal momento che qualche ora dopo, prima dell’esecuzione di “Battle” racconterà della domanda di un “giornalista italiano” sulla questione, regalando un po’ a sorpresa, un’accesa filipicca liberal di amore e rispetto dei diritti individuali con un’invettiva esplicita a Chiesa e Vaticano.

Avevi preannunciato il primo doppio della carriera, “Battle”, invece poi è venuta fuori l’idea di realizzare due album nel giro di dodici mesi, “The Bachelor” e “The Conqueror”. Perché due titoli del genere e un cambio di programma in questo senso?

E’ una cosa già successa negli ultimi album. Tra l’annuncio e la lavorazione in sé intercorrono sei sette-mesi e la vita è in continuo mutamento. Nei titoli resta l’idea della connessione con la tradizione dell’opera inglese, un po’ come “The Magic Position” era legato all’amore, la decisione di dividerlo è venuta fuori dopo senza particolari motivazioni.


Stiamo già apprezzando “The Bachelor”, avevi preannunciato che il seguito “The Conqueror” si sarebbe rivelato meno torbido e cupo. Cosa aspettarsi quindi a livello di atmosfere?

Sono più interessato a scrivere storie che riguardano l’ottimismo. E’ ispirato a quei periodi d’uscita da lunghe fasi di solitudine in cui ti senti tagliato fuori dal mondo. Sarà un album carico di romanticismo, sensualità e sessualità.

Recentemente, in molti parlano di Patrick Wolf in termini di “nuova icona glam” o di nuovo David Bowie soffermandosi evidentemente sul tuo look appariscente e sulla tua immagine soprattutto sul palco. Pensi che questo possa costituire un rischio, nel senso che in parte finisce per oscurare la tua anima cantautorale che anche nell’ultimo album resta importante se non preminente?

Non ho mai nascosto, fin da quando avevo dodici anni, la consapevolezza di apparire molto diverso dalla maggioranza della gente. Specialmente quando sei…capiscimi. Penso sia un aspetto della mia personalità da sempre, fa parte del modo in cui mi pongo con l’altro. In definitiva, in molti sensi sono una celebrità, in un modo speciale e divertente. Sono famoso, un sacco di celebrità sembrano diverse da quelle che sono. E’ lo showbiz. Mi piacerebbe, me ne rendo conto, che si parlasse di me soprattutto per la musica che compongo e per gli esiti del mio songwriting, ma allo stesso tempo non mi dispiace essere famoso e dunque devo fare i conti con questo tipo di problema. Non c’è nulla da fare. Penso ad esempio a Lady Ga-Ga e al fatto che tutti parlino del suo stile eccentrico senza che nessuno mai parli della musica o del fatto che sia creativa. I miei fan sono diversi dai suoi e capiscono il limite tra le due cose.


Cosa pensi della scena britannica di questi anni? O meglio dove ti collecheresti visto che un po’ riduttivamente sei stato incluso impietosamente nel grande circolo indie soprattutto dopo gli ultimi due album.

Sono stato sotto major come sono stato indipendente. “The Bachelor” è un progetto davvero indipendente. Qualcuno potrebbe ribattere comunque che “The Magic Position” non lo era. Io credo che la musica sia fatta per raggiungere il maggior numero degli ascoltatori possibili. Il concetto di indie è una preclusione nel senso che ci si pone preventivamente l’obiettivo di restare underground, di restare in secondo piano. Io arrivo dall’underground quando avevo diciotto anni e son venuto fuori con il mio primo album “Lycanthropy”, quindi non nego il piacere nell’estendere la mia platea facendo il meglio che posso.


Peraltro il tuo ultimo disco è indipendente nel vero senso del termine e mi riferisco all’autoproduzione con la possibilità di finanziamento da parte dei fan che diventano azionisti con una sorta di income sharing. Parlaci del progetto di questa etichetta “Bloody Chamber Music”.

Appunto è un’etichetta indipendente, ma nel senso che è indipendente dalla mia supervisione essendo gestita da migliaia di fan che hanno ideato questo nuovo sistema di distribuzione e supporto. Si tratta di un progetto con target ampia scala quindi di fatto nel concreto non si allontana molto dalla strategia di diffusione della musica tipica delle major.


Pensi possa essere un buon modello anche per altre band?

Non so, ma penso che sia una buona via di mezzo tra il restare autonomi e cercare comunque di aprirsi a platee sempre più ampie nella massima indipendenza. Ha funzionato con “The Bachelor” ma non so se funzionerà né se verrà adottato per “The Conqueror”.


Restando in tema, nell’epoca del file-sharing si scaricano decine e decine di album, finendo spesso per ascoltare i due-tre pezzi che funzionano a primo impatto e trascurando le altre tracce. L’LP sembra insomma diventare un formato sempre più obsoleto, e tu esci fuori con dei concept. Credi sia ancora possibile al giorno d’oggi puntare su dei concept?

Dipende dall’album. Ci sono molti album dei quali non riesco ad ascoltare più di due canzoni. Altri album li ascolto interamente. Se un disco merita, merita per intero nel 2045 quanto nel 1997. C’è chi farà sempre dischi da ascoltare dall’inizio alla fine. Io ho iniziato col proposito di far parte di questa cerchia.


A differenza della maggior parte dei nomi inglesi di questi tempi.

Loro puntano sul singolo catchy. Io non punto sul singolo di lancio, quanto piuttosto sulla complessità.


Tornando in un certo senso a parlare di paragoni, ti propongo uno strano paragone. Tu sei un artista alquanto peculiare nella scena britannica, ma ascoltando per la prima volta Bat For Lashes mi sono detto “Questa è la risposta femminile a Patrick Wolf”. Che ne pensi?

Prossima domanda? (risate)


A questo punto, dovresti dire qualcosa di più. Non trovi?

Io sono arrivato prima. Punto.

Lei fa parte di quegli artisti per cui non provo alcun interesse nell’ascolto. Lei si è dichiarata una mia fan, ma se devo ascoltare quel tipo di sonorità, preferisco ascoltare Kate Bush. Esistono degli artisti derivativi e devo dire che ce ne sono troppi ultimamente.

Cambiando argomento, vorrei spostare l’attenzione su un problema più ampio, in parte legato alla vergognosa aggressione che hai subito dalla security durante il concerto di Madonna a Londra dal quale sei stato sbattuto fuori per la semplice colpa di scambiarti effusioni in platea con il tuo compagno (news). L’altro ieri sempre a Londra il ragazzo omosessuale picchiato qualche settimana fa da due ragazze a Trafalgar Square, è morto. Anche in Italia non ce la passiamo meglio, le aggressioni omofobiche sono all’ordine del giorno. Ti senti di dire qualcosa, sempre che ti vada di parlarne?

Penso che le radici siano simili a quelle dello scontro tra cultura bianca e cultura black negli anni ’50, ’60 e ’70 con la prima che, essendo più mainstream, si sentiva inconsciamente minacciata dalla seconda. Vista come qualcosa di diverso, di antagonista, di contrario. Una roba veramente vergognosa. A livello legale si parla sempre di diritti umani, di norme, ma non si cerca mai di far penetrare valori quale il rispetto e la tolleranza nella società attraverso l’istruzione, l’educazione ai teenager quanto ai loro genitori e a chiunque altro. Dagli anni ’80 nella maggior parte dei paesi occidentali le coppie gay hanno pari opportunità, protezione sociale, ma questo non è bastato ovviamente perché le visioni più conservatrici, dei proprio genitori e dei propri nonni, sono ancora vive e diffuse. Anche per questo i teenager sono così aggressivi con gli omosessuali e i trans. Non è solo una questione di noia o di mancanza di valori. Il problema è più ampio e legato alla prevalenza della tradizione tory nel caso dell’Inghilterra. Se penso alle due ragazzine di Trafalgar Square, non provo rabbia, ma soltanto tanta pena. Trovo veramente triste che siano state educate in questo modo. Senza il rispetto per la vita umana.
Pensando alla mia esperienza a scuola, ho dei ricordi orribili. Ero soggetto a violenze e abusi ogni giorno, ma l’unico pensiero che riusciva a farmi andare avanti era la pena che provavo per loro. E per la loro ignoranza. Perché in Inghilterra agli insegnanti è impedito per legge di parlare di rapporti omo-sex persino nell’educazione sessuale. Se ti manca la conoscenza della tolleranza, sei incosciamente spaventato da una coppia gay che si bacia per strada piuttosto che dal trans.


Grazie della risposta. Non siamo dei sociologi ma proviamo a dare delle risposte.

Trovo sia una problematica veramente complessa. Probabilmente non vivrò abbastanza per vedere dei cambiamenti concreti a riguardo. Son passati trent’anni, forse ne serviranno altri cento. Una lunga battaglia.


Guardando al futuro, come immagini Patrick Wolf tra vent’anni?

Farò ancora musica, questo è certo. Spero di essere ancora vivo perché sarebbe triste l’immagine di me che scrive e canta canzoni sul letto di un ospedale. Le tipiche domande sarebbero: scriveresti mai un libro? Reciteresti in un film? Boh, non si sa mai. Sto finendo di dirigere il mio secondo videoclip questa settimana. L’importante è che io resti una persona creativa. Questo mi fa pensare a una storia divertente tra me e mia madre che ha sempre sperato che facessi il biologo marino piuttosto che il musicista, visto che queste sembravano rappresentare le mie due opzioni una decina d’anni fa. Biologo marino vuol dire andare a studiare balene e robe simili, pesci tropicali, affascinanti creature sottomarine. Così ogni volta che al telefono mi ripete che sarebbe meglio se riprendessi gli studi abbandonati per diventare quello che sono ora, butto giù il telefono e faccio un altro disco. In definitiva, farò musica, indipendemente dalle condizioni economiche in cui mi troverò.


Ultima domanda: questo decennio volge ormai al termine. Prova a pensare a 3 album usciti negli ultimi dieci anni da ricordare. I classici album “che porteresti su un’isola deserta”.

Difficile. Probabilmente porterei con me “Vespertine” di Bjork, eppoi…

Wind In The Wires”?

No, non porterei miei album, li potrei suonare da solo, quelli. Porterei forse il primo delle Cocorosie. Qual è il titolo, non ricordo?


La maison de mon reve”.

Esatto. E poi…Britney Spears, “BlackOut”. Per i giorni in cui vorrò semplicemente ballare nudo sulla spiaggia bevendo il succo delle noci di cocco. Una giusta alternanza tra relax e party.


E ovviamente balene e pesci tropicali.

Esatto. Potrei diventare il biologo marino che mia madre ha sempre sognato.