Intervista agli Zu

Intervista di Lorenzo Centini e Simone Dotto

“Carboniferous” è quasi un album di canzoni, strano a dirsi, ed è la prova più convincente del trio, maturata con anni di collaborazioni e di concerti in ogni parte del mondo. È anche un disco in grado di smentire quanti credono che siano “solo” una straordinaria live band. Rimane comunque il fatto che dal vivo i tre romani (con la collaborazione ormai di Giulio Favero come produttore, tecnico del suono e musicista aggiunto) siano una macchina di compattezza, potenza e ironia esemplare. In attesa di ri-testarli sui palchi (il responso è comunque scontato), cogliamo l’occasione per capire direttamente con loro com’è che nasce un vero nuovo miracolo italiano.

Gli Zu con Mike Patton

Abbiamo sentito almeno un milione di volte la storiella dei ragazzi di provincia che imbracciano la chitarrina per scacciare la noia e si ritrovano a suonare rock nello scantinato dello zio, ma nessuno ci ha mai raccontato quella del trio batteria-sax-basso distorto: come nasce un progetto come il vostro? Quali ascolti e percorsi avevate alle spalle quando avete iniziato?

Prima di tutto nostro zio non aveva uno scantinato, nè una cantinetta, nulla. Era il classico zio alcolizzato che nella vita non è riuscito nemmeno ad accumulare un sottoscala. Poi, abbiamo fatto di necessità virtù: eravamo in tre e suonavamo questi tre strumenti, e ci piacevano tanto le scatolette nere con su scritto”distorsion”. Poi, a nessuno andava di cantare di ragazze che ti lasciano o urlare la rabbia adolescenziale perché i genitori non ti hanno comprato il motorino. A Luca abbiamo spiegato cos’era una chitarra elettrica e quando è andato a comprarla ha incontrato dei mariuoli che l’hanno fregato ed è tornato indietro con un sax baritono pensando fosse una Fender stratocaster rossa. Sta ancora capendo come si fa il tapping. Gli ascolti alle spalle sono veramente troppi, fai conto 1000 giga di itunes per uno. Percorsi sghembi, spesso di cane che si morde la coda.


C’è un filo che vi lega all’ hardcore italiano anni ’80 , come i Bloody Riot (di cui , se non sbaglio, suonavate “Naja de Merda”) passando per esperienze intermedie come Detriti e, ovviamente, Gronge. Era da un bel po’ che non si esportava musica pesante e originale. Cosa accomuna voi, Fluxus, Teatro degli Orrori, Negazione, Putiferio, Sottopressione, Kina e altri?

  1. siamo tutti italiani
  2. siamo tutti gruppi di uomini, purtroppo non c’è neanche una ragazza in questi gruppi
  3. malgrado ciò, non siamo amici di pierferdinando casini
  4. ci piacciono molto i pedalini con su scritto “distorsion”
  5. non ci conosciamo fra di noi


Il vostro è uno dei nomi scelti dagli Afterhours per compilare la raccolta “Il Paese è reale”, il cui sottotitolo recita: “19 artisti per un Paese migliore?” Vi riconoscete in questa concezione attivista della musica? La cultura può davvero cambiare le cose, per voi?

La cultura forse, e la bellezza sicuramente. In un Italietta impantanata nel cattolicesimo c’è bisogno di tanto doom metal e meno cantautori tanto tristi. Sempre secondo noi che comunque siamo pazzi.

Riassumendo: avete collaborato con Steve Albini, Mike Patton, Melvins, Damo Suzuki, Joe Lally dei Fugazi e Alexander Mc Kay degli Stooges… il trucco per piacere fuori dall’Italia è suonare musica “poco italiana”?

Il trucco è essere di Cellino SanMarco.

Zu

A proposito degli Ardecore, una volta su Radio Città Aperta, in un’intervista, Gianpaolo Felici diceva che ci sono centinaia di brani della tradizione romana ancora da incidere. Che aspettate? Bisogna chiudervi per un anno in studio di registrazione?

Non facciamo piu parte di Ardecore in pianta stabile, troppi impegni rischiano di bloccare quel gruppo che invece merita una vita propria e coerente. Siamo politeisti, quindi non possiamo darci solo al dio del Rumore, ogni tanto è anche bello esplorare le proprie radici e le nostre sono sul Tevere, un Tevere se possibile molto antipapalino.


Si riparte per la conquista del mondo, ma il punto di partenza rimane Roma, una città con parecchi nervi scoperti e rigurgiti. Provate poi in una sala all’ Esquilino, che è la pancia della città. Come la descrivereste a chi non la vive?

Proviamo al Trullo adesso, estrema periferia, visto che di gente di periferia qui si tratta, è ancora meglio. Più che pancia, proviamo nell’alluce della città. Roma è una città in cui, e non sto scherzando, nell analisi dell’aria hano trovato tracce di cocaina per quanto è diffusa. Per cui è meglio dare la precedenza all’angolo se non vuoi morire. Piu ancora che Alemanno domina la cocaina. Roma è diventata una enorme ed incattivita cloaca.

Zu

State per riprendere a girare senza sosta. C’è qualche episodio o qualche concerto passato particolarmente strano, esotico o esoterico da raccontare?

L’ultimo concerto che abbiamo fatto è stato a Santiago Del Cile in quartetto con Patton. 12 mila persone, hotel con gli Iron Maiden che prendevano il sole in hotel affianco a noi bevendo birre come in un pub di Birmingham. Guardie del corpo che ci accompagnavano in stanza, nessuno sa ancora perché. Ci stiamo ancora chiedendo cosa è successo.


*Una curiosità: ma che c’entra “Ostia” con Ostia?

Siamo tutti e tre di Ostia, non come esclamazione ma come quartiere periferico di Roma dove nulla è mai successo se non che hanno ucciso Pasolini.