Intervista agli Stateless

In un anno di reunion gli Stateless sono stati una delle novità più interessanti della scena britannica, ma non solo. Campionature secche tra trip e hip hop, voce da perfetto malinconico sulla scia Buckley/Yorke/Martin, ma soprattutto tanta personalità e ottime potenzialità. Solo in parte espresse nel validissimo eponimo d’esordio in cui forse ha pesato la voglia di dimostrare tutto e subito, senza una rigida selezione del materiale.
Su questo e molto altro il nostro confronto con il frontman Chris James – voce, songwriter, chitarra, tastiere – e il ben più easy – loro direbbero così – David Levin, batterista dal chiodo fisso (leggendo non sarà difficile coglierlo) che fa di tutto per far calare i toni idealisti e appassionati di James…

Da quanto mi risulta venite da Leeds… Perché dunque “Stateless”?

CHRIS: Effettivamente veniamo da Leeds, la maggior parte di noi andava nella stessa scuola, così siamo stati per molti anni amici per la pelle. Abbiamo scelto il nome “Stateless” perché ci sentiamo come se non avessimo barriere, non ci sono confini né limiti o restrizioni riguardo a ciò che siamo e che esprimiamo. La nostra volontà è di avere una piena libertà attraverso la musica.

DAVID: Siamo di stanza a Leeds, ma musicalmente siamo dei veri homeless. Tra l’altro “Stateless” è un omaggio a due tra le nostre band preferite, gli Status Quo e i Faithless! (risata)

A me dava l’idea di una bassa identificazione con ciò che vi circonda, con la vostra nazione. Tutta colpa della musica indie?

CHRIS: E’ una visione che cresce dalle nostre parti. Il fatto è che la Gran Bretagna è completamente trend-dipendente, non si ascolta solo un determinato tipo di musica, devi seguire il trend del momento per assicurarsi di andare bene. Devi avere la giusta acconciatura e vestirti come gli altri. A noi per fortuna non ci piace vestire allo stesso modo né seguire un determinato trend. Per dirti, se oggi fosse in voga l’heavy metal probabilmente ci metteremmo a comporre musica classica. Ci piace distinguerci, anche se ciò ultimamente rende la vita più dura. A noi va bene così. E’ una strategia a lungo termine, ci vuole pazienza. La gente lentamente sta iniziando a scoprirci e a seguirci con convinzione. Chissà alla fine anche noi potremo essere “massive”.

DAVID: E’ la Gran Bretagna che si sta identificando con noi semmai, lentamente e con convinzione. Nonostante la nostra musica non sia ancora per nulla parte dei grandi palcoscenici britannici, è ancora molto british – scriviamo su quello che conosciamo, che è parte della Gran Bretagna, dei suoi party, della sua pioggia…ecc. Siamo viaggiando molto così gli scenari che ci circondano e le nostre ispirazioni stanno oltrepassando I confini, ma restiamo una band inglese. Se è tutta colpa della musica indie? E’ sempre colpa della musica indie! (risata)

Non credo di essere il solo, ma il vostro album qui in Italia da molti è considerato come uno degli esordi più interessanti di quest’anno. Qual è il segreto degli Stateless?

CHRIS: Ti ringrazio, ma è top-secret. Se te lo dicessi dovrei ucciderti perché potresti rivelarlo (risata). Credo che facciamo musica interessante perché siamo molto appassionati. Tra di noi si ascoltano generi molto diversi. Dalla techno alla musica classica, hip hop, folk, blues, electronica, reggae, soul e infinita altra roba. Ci sono molte anime che ispirano le nostre produzioni. Siamo cinque persone diverse, molto diverse, cinque ingredienti nell’impasto. Lo metti in forno e ottieni gli Stateless.

DAVID: Grazie anche da parte mia, siamo molto orgogliosi del nostro album d’esordio. Il segreto degli Stateless? Le ragazze italiane. (risata)

Ve lo aspettavate considerando che la vostra proposta musicale sembrava soppiantata dal ciclone di revivalist del punk/r’n’r e della new wave?

CHRIS: Non ci importa nulla del trend più diffuso. Ci importa solo di fare della musica con passione. Per fare un esempio sui cantautori, perché dovrei ascoltare cantautori con un certo hype quando la maggior parte di loro sono dei totali inetti paragonati a Bob Dylan o a Leonard Cohen? Preferisco ascoltare il lavoro di un genio, registrato peraltro trent’anni fa, che ascoltare qualcosa sicuramente inferiore solo perché va, perché tira. Provo e proviamo a far venire fuori degli album che resistano alla prova del tempo, non dico che ci siamo arrivati, ma è quello a cui aspiriamo. Lo so, sono aspirazioni molto alte.

DAVID: Siamo sempre stati consapevoli che sarebbe stato arduo sfondare non adeguandoci a quanto i nostri connazionali più in voga stanno proponendo con la loro musica, ma non ce n’è mai fregato un cazzo. Non fa per noi aderire a determinate formule, etichette adattandoci a fare quello che fanno gli altri. Siamo venuti fuori con una proposta musicale che è quella che sinceramente ci sentiamo di esprimere cercando di abbattere quei paletti nella speranza di realizzare qualcosa di importante e di innovativo. Alcune delle band attuali che tu hai definito “fashionable” fanno delle buone cose, altre solo spazzatura, ma nulla di tutto ciò ci tange particolarmente. Stiamo andando per la nostra strada e, si spera, sull’esempio di altre band e artisti che ci hanno preceduto, alla fine lasceremo il segno.

E comunque non è un mistero che abbiate lavorato con Jim Abbiss, produttore di Kasabian e Arctic Monkeys. Come ha influenzato il vostro sound?

CHRIS: E’ stato grande. E’ stata la nostra prima esperienza in un grande studio di registrazione, Jim per noi è riuscito a essere nello stesso momento una figura paterna e un migliore amico. Sono rimasto veramente entusiasta da queste sessioni. Per il resto si è limitato a aiutarci a focalizzare il suono nella sua interezza. Ad ogni modo, abbiamo sempre sperimentato un sacco coi suoni insieme senza arrivare mai a qualcosa di veramente compiuto, un mix prodotto in un grande studio. Abbiamo imparato molto da lui. Ci ha anche aiutato molto per le ritmiche dell’album che volevamo rendere così sporche e ruvide.

La sintesi più frequente per definirvi è Radiohead+Dj Shadow = Stateless. Come la vedete?

CHRIS: Non riuscirei a dire che sono d’accordo perché semprerebbe come se fossimo una copia. Il che non è vero. Amiamo e rispettiamo molto i Radiohead e DJ Shadow, sono forse due dei migliori artisti della nostra generazione e non è male esservi accostati. Dobbiamo opporci alle semplificazioni sulla musica e sulla nostra musica, sulla nostra individualità da parte di chi si esprime in questo modo. E’ facile, comodo dire “Radiohead+Dj Shadow = Stateless”, ma non è altrettanto facile metterla in pratica. Non ci sediamo mai dicendo “Proviamo a fare qualcosa che suoni come questo o quell’altro”. Siamo molto più spontanei nello scrivere e produrre in base a come ci sentiamo. La roba nuova su cui stiamo lavorando, per esempio, suona in maniera molto diversa rispetto al primo album, abbiamo ascoltato un bel po’ di musica da allora, abbiamo fatto un sacco di esperienza, di viaggi, di conseguenza le nuove canzoni hanno naturalmente un sound differente. Credo che ormai abbiamo costruito un sound che ci contraddistingue, che sta crescendo sviluppandosi allo stesso tempo.

DAVID: Stateless + Stateless x Stateless % Stateless + Stateless = Stateless.

Quali sono le vostre influenze?

CHRIS: Le mie influenze sono senza fine. Mi piacciono i grandi artisti – scrittori, performer, cantanti, poeti, filmmaker, chiunque sia creativo. Sono anche influenzato intensamente dalle mie esperienze, dall’amicizia, dalle relazioni della mia vita, i viaggi. Mi piace viaggiare e vivere esperienze nuove. Infatti non vedo l’ora di andare a Roma, la prossima settimana; abbiamo un concerto all’INIT. Quindi starò da un amico a Roma per esplorare la città. Sono letteralmente in trepidazione sarà esaltante. Prendo un sacco di spunti per la nostra musica quando sono in viaggio.

DAVID: Abbiamo migliaia di influenze. Le mie includono Bob Marley, Michael Jackson, Rage Against the Machine, Tony Royster Jr, il vino, le ragazze, le ragazze italiane, il cibo italiano, il nuoto e il mio Nintendo.

Immagino che non sia una semplice coincidenza, Chris, il tuo cameo nell’ultimo lavoro di DJ Shadow “The Outsider”…

Beh, direi di no. La scelta di lavorare con Jim Abbiss è proprio dipesa dal fatto che avesse lavorato con DJ Shadow. Abbiamo pressato un po’ Jim perché gli mandasse la nostra musica, volevamo solo se sapere se gli piaceva, niente di più. Poi un giorno Jim mi ha chiamato letteralmente in visibilio dicendo “Indovina un po’, DJ Shadow ama la vostra musica”. Eravamo così felici, per un tale riconoscimento. Così lui ha chiesto di suonare con lui. Sono sincero, per me è stato un sogno diventato realtà.

Il vostro album rivela un certo equilibrio tra la ricerca di sonorità innovative e un approccio melodico piuttosto classico e canonico, soprattutto a livello vocale. Forse il filo conduttore è proprio l’efficacia delle melodie più che un’atmosfera omogenea tra le varie tracce. E’ un ottimo punto di partenza, quasi un passaggio naturale per un disco d’esordio in cui si vuole dire tutto e subito, ma arrivati a questo punto, quale potrebbe essere il prossimo passo?

CHRIS: I nostri nuovi demo stanno prendendo vita da sé e, come ti ho detto, hanno delle sonorità veramente diverse da “Stateless”. Ciò è molto stimolante per noi, il fatto di sviluppare qualcosa di nuovo. Riconosco che sia un rischio ma non sceglierei mai di stare in una band che ha paura di correre qualche rischio. Tutte le grandi band si evolvono, a loro rischio e pericolo. Noi vogliamo diventare una grande band, così lavoriamo sodo per trovare dei nuovi modi di approcciarci alle nostre produzioni. Il nuovo album sono convinto che sarà molto diverso. Spero solo che convinca anche chi ci ha seguito finora. Tutto ciò è molto interessante.

DAVID: Devi aspettarti degli ottimi pezzi, beat saturi, grandi rumori, soul, armonia, guerra e pace, amore e misericordia. E’ qualcosa di diverso, come dice Chris. Ma chi ha apprezzato il primo album, dovrebbe apprezzare anche il secondo, per come la vedo io.

Se doveste fare il nome di qualcosa che avete ascoltato di recente e che vi ha particolarmente colpito?

CHRIS: Poca roba recente. Clipse, Modeselektor, le Bat For Lashes sono qualcosa di veramente valido. Poi ci sarebbe una ragazza, Shara, che canta nei My Brightest Diamond con cui stiamo lavorando in questo momento, che ha veramente una grande voce.

DAVID: Attualmente la mia band preferita sono i Middleman, da Leeds. Siamo in missione insieme per conquistare lo Yorkshire e il mondo intero. Procurateli, spaccano. Poi ci sarebbero gli Stateless… Ciao!