Intervista agli Yellow Capra

Strumenti fluidi, note che si rincorrono tra free-jazz, classica e post-rock. E tutto senza risultare minimamente pesanti, o difficili. Come sono riusciti a fare questo, gli Yellow Capra, a solo un anno di distanza dal loro debutto?
“Chez Dédé” è tutto meno che un disco comune: è puro cinema – il suo immaginario, i suoi strumenti – applicati alle note.
Ne abbiamo parlato con Luca Freddi, che del settetto milanese è il bassista.


La prima domanda è: perchè questo nome? E perchè quei titoli? E’ difficile per chi recensisce scrivere frasi come “Non ci si può non commuovere davanti al violoncello di…AMERICAN TAFANO”, tanto per fare un esempio…

Fin dall’inizio il nostro motto è stato: non prendersi sul serio. Assolutamente. Anche se la materia musicale può sembrare “seria”. La leggerezza prima di tutto, insomma. Per noi la musica non è un atteggiamento (oggigiorno molti gruppi sguazzano nell’apparire-vestirsi-comportarsi-avere un output convenzionale con quanto suonano). La musica è solo un sentire comune. Ecco quindi i nostri titoli e il nostro nome.


Come avete iniziato a fare musica? Per alcuni di voi gli studi classici sembrano molto evidenti quando vi si ascolta…

Mentre le due ragazze (violoncello e flauto) provengono da studi classici, gli altri hanno suonato in svariati gruppi locali, tra indie rock, post punk, pop, jazz. Abbiamo background, ascolti e gusti molto diversi (a volte agli antipodi, se pensi al divario incolmabile ad esempio tra Giuseppe Verdi e i Converge). Per questo ci sembra magico far confluire queste differenze in un’unica esperienza musicale.


Si abusa della parola “cinematico”, quando vi si descrive. Eppure voi usate visuals quando suonate dal vivo, avete scritto spesso colonne sonore… qual è il rapporto della vostra musica con l’immagine?

Tutti siamo appassionati di film, videoclip, cortometraggi e documentari. Oltre a consumarne una quantità illiamitata e variegata a casa o al cinema, alcuni di noi hanno realizzato o continuano a realizzare lavori come professione. Quando ci siamo incontrati il progetto musicale voleva essere strumentale e da camera (anche perchè provavamo in un sottotetto di un appartamento) da abbinare ad un vasto immaginario visivo.


A proposito, chi vi ascolta tende a pensare che a ispirare i vostri brani siano le immagini. Ma è sempre così? Cosa vi ha accompagnato mentre stavate componendo “Chez Dédé”?

Pensiamo a quello che vediamo intorno a noi, la città, la notte, i particolari, gli scorci, le distanze, le dissolvenze.
Chez dedè lo vediamo come un posto placido, conviviale e familiare dove incontrarci, stare insieme tra noi o con amici, o stare isolati. Una specie di locale-spazio privato.


La vostra musica ha accompagnato qualunque arte, dal cinema al teatro alla pubblicità… Come cambia il vostro modo di comporre in base a quello che dovete musicare?

Alcune volte sono state scelte musiche più evocative, altre più cameristiche. Per il teatro è stata una bella sfida, costruire, improvvisare intorno al lavoro di un attore, preso con il suo monologo: sottolineare delle frasi, riempire delle pause ecc.


So che state iniziando a collaborare con il videomaker Claudio Sinatti… com’è nata la collaborazione, e cosa avete in programma?

Gianandrea, il nostro batterista, ha avuto una relazione con lui per questa finalità. No, scherzo. Gianandrea è un montatore professionista e ha iniziato a collaborare con lui per alcuni lavori e videoclip. A Claudio è piaciuta la nostra musica. A noi è piaciuto il suo modo di intendere i visual dal vivo. E’ sbocciato qualcosa. Stiamo preparando un’esibizione in cui interagiremo dal vivo con musica e visual.


Siete pieni di progetti paralleli: oltre agli YC si sono i Satan is My Brother, le colonne sonore… La domanda chiave è: riuscite a vivere di musica?

Non riusciamo a viverci. No. Ognuno ha il suo tran-tran, il suo lavoro, chi la famiglia, chi i sogni, chi le disilussioni. Ma abbiamo un motore sempre acceso. Tutti. Chi realizza documentari e video, chi è immerso in teatro e mondo del cinema, chi scrive, chi fotografa. E la musica. Antonello (tastiera-anima elettronica) ha diversi progetti, tra cui la sonorizzazione electro-lounge di Fahrenheit451. Massimo (chitarra) ha un suo progetto indie-folk a nome Cassavates!. Luca (basso) e Alessandro (sax) hanno appena fatto uscire per Boring Machines l’esordio del loro progetto dark-ambient Satan is my Brother. Francesca (violoncello) segue diverse collaborazioni.
La vita, poi, è ciò che accade mentre fai altri progetti.