LIGHTNING BOLT, Hypermagic Mountain (Load / Goodfellas, 2005)

E sono quattro. E già, con “Hypermagic Mountain” la premiata coppia Gibson/Chippendale sforna il quarto capitolo di una saga che rischia di diventare giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, sempre più strabiliante e sconvolgente.
Chiariamo subito un concetto: quello che troverete dentro quest’ultimo lavoro del duo statunitense è proprio tutto quello che potreste immaginarvi se avete anche solo una vaga idea di chi si stia parlando. Il punto è un altro: tutto quello che ascolterete in queste dodici tracce è suonato meglio rispetto al passato.

E non è un punto da tenere in poco conto, a mio modo di vedere…c’è da uscire devastati da sessanta minuti schiaccianti e pestati a questa velocità e con tale furia da far apparire come gentili educande la maggior parte delle band contemporanee, anche quelle con i passati (o i presenti) più ingloriosi e ambigui. Perché questi due ragazzotti dal viso gentile sono capaci di buttarsi a corpo morto sui propri strumenti in maniera talmente assoluta da lasciare senza fiato.

In un’intervista che potrete facilmente trovare in rete azionando le giuste parole chiave Thurston Moore ebbe modo di affermare che i Lightning Bolt erano il corrispettivo del ventunesimo secolo dal vivo di ciò che furono i Sonic Youth nella New York yuppificata di inizio anni ’80. Come ebbi modo di scrivere all’epoca dell’incontro/svezzamento con la band allo “Zu Fest” di un anno e mezzo fa – mezz’ora devastante, un attacco diretto alle viscere dell’essere umano – mai definizione sarebbe potuta essere più azzeccata. L’unico problema rimaneva la possibilità di racchiudere nei solchi crudeli della registrazione in studio tutta quella carica umorale che trasudava letteralmente dall’esperienza On Stage.

L’impressione è che Chippendale e Gibson siano riusciti nell’intento proprio con “Hypermagic Mountain”; un suono che esce granitico e ossessionante a calpestare direttamente il proprio ascoltatore. C’è il forte rischio di essere sbalzati via a un ascolto leggero e “ignorante”: la musica del duo non è certo la più accessibile in circolazione, anche per gli stessi cultori del genere. I riff tagliati e malvagi e la batteria impazzita – con il corollario tutt’altro che inutile di una voce che arriva a tratti a insinuare ulteriore crudeltà – eppure angosciosamente metronomica delineano con precisione un’esperienza di vita sconvolta e sconvolgente, in cui i dettami della logica e della razionalità vengono abbandonati per far spazio a un ritorno in pompa magna dell’animalità, dell’istintività. Bisogna avere pazienza con i Lightning Bolt, e non bollarli a un primo ascolto: dietro alla maschera noise e alle cavalcate tachicardiche è nascosto, neanche eccessivamente in profondità, un interesse per la melodia che permette (e questo è ancora più assurdo, a pensarci bene) di far tornare il discorso al 100%.

È normale e quasi ovvio sentirsi stuprati dopo l’impatto in pieno viso di “Megaghost” o della schizofrenia epilettica e convulsa di “Bizarro Zarro Land”, così come potrebbe facilmente venir voglia di augurare alla band di recarsi laddove non batte il sole a trovarsi di colpo immersi nei dieci minuti e poco meno di “Mohawkwindmill”, ma se si ha il coraggio – sì, perché anche di questo si tratta – di concedere a “Hypermagic Mountain” un secondo e magari un terzo ascolto ci si accorgerà di non poterne più fare a meno. E magari ci si soprenderà, stupiti, a sorridere bonariamente all’ascolto delle bizzarrie divertite di “Infinity Farm”…
Sicuri di non voler provare?

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