ANT, Footprints Through The Snow (Homesleep / Audioglobe, 2006)

Quello che colpisce immediatamente nell’ascoltare “Footprints Through The Snow” è la capacità di scrittura di Ant. Una scrittura pop semplice, inattaccabile, talmente immediata da sembrare quasi buttata lì. E invece non bisogna compiere l’errore – possibile – di liquidare il cd di Anthony Harding come un’accozzaglia di idee mezze abbozzate, di sottrazione per necessità, di mancanze perché non c’era da riempire. Ai primi ascolti bisogna dire di essere stati tentati da ciò, per fatica o perché forse si prende la musica troppo seriamente per riuscire ad accettare che esiste chi sa tinteggiare, unicamente con una chitarra acustica, una canzone completa come un mondo intero. Tutti smetterebbero di arrangiarle, le canzoni, è stata la prima reazione.

Poi poco a poco ci si è lavati via quella patina di pregiudizio per quella semplicità ostentata, e ci si è immersi senza remore nel pianeta innevato di Ant, cercando di seguire quelle orme sulle neve che ha lasciato lo svedese trapiantato a Bologna. E lì si è trovata senza fatica la chiave di lettura ancora prima di cercarla, perché è lei che trova te.

La forza di questa sua seconda prova sulla lunga distanza sta infatti nelle melodie stesse, che vengono ancor più poste in risalto dal fatto che non ci si distrae ad ascoltare quella cosa lì che fa la chitarra, quella rullata di batteria, quella svisata di basso. Non ci distrae perché non ci sono, a volte non c’è neanche la batteria ma solo un ride che potrebbe tenere il tempo di “Jingle Bells” (“Up Sticks And Go”). E se fanno capolino il violino in “Slipped Away” o la tromba in “Change With The Season” lo fanno come quell’amico che viene a trovarti con altri e sta composto in un angolo senza proferire parola, con un accennato sorriso stampato sul volto. Tutti i diversivi si inseriscono senza disturbare, perché le chitarre acustiche – suonate nella maniera più parrocchiale possibile – sono le indiscusse padrone delle piccole orme di Ant. Orme come le migliori ballate degli Smashing Pumpkins (“She’ll Be Home Soon”, “This Goodbye Kiss”), come le canzoni che i Pecksniff non sono mai riusciti a scrivere (“Look How Time Flies”), come un Nick Drake sereno nelle sue profondità (“Those Memories”).

Un disco molto svedese e poco bolognese, che potrà sembrare un po’ freddo ad alcuni ma solo perché l’hanno ascoltato distrattamente. In fondo, è di neve che si sta parlando. Ma quando si fa a pallate con i guanti non si sente il freddo sulle mani, ci si diverte e basta.

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