LECREVISSE, (due.) (Jestrai / Venus, 2003)

Un suono di fuochi artificiali lontani, o forse solo il rumore, leggero come un sospiro, di una puntina del giradischi che si appoggia sul vinile, apre un disco bellissimo, per il quale è davvero difficile trovare definizioni: vogliamo rifugiarci dentro il termine psichedelia, per parlare di questo secondo disco dei Lecrevisse? Potremmo, certo, ma non basterebbe a definire un suono mutevole, ricco, trascinato da improvvisazioni imprevedibili e da una fantasia che certo non è comune a molti.

Già il pezzo iniziale ci introduce in un ambiente onirico, mentre una voce stenta, e racconta di una storia che finisce, tema che ricorre in molte delle canzoni dell’album; subito dopo il cambio di atmosfere è netto e strabiliante: è “Fleurette”, un brano totalmente folle e violento, le chitarre lottano con il violino, la musica si arresta per poi ripartire di nuovo, volutamente senza direzione. Si sente un’eco dei dEUS, si sentono i migliori Motorpsycho, ma quella che i Lecrevisse creano è qualcosa che appartiene completamente a loro.

Pieno e vuoto, crescendo impetuosi, arresti improvvisi e ripartenze, una voce duttile e parole mai banali: è tutto questo che rende “(due.)” un album tanto riuscito, e “Origami” è uno degli esempi migliori: dalla quiete di una chitarra acustica e del glockenspiel nasce un’alternarsi di stasi e violenza semplicemente da brividi. Pura estasi psichedelica in quello che appare il vero cuore dell’album, i dodici minuti di “NGC 287”: tensione che cresce inesorabile, accompagnata dal theremin e dalle chitarre, ma il suono finisce per implodere nelle note sognanti del glockenspiel, ed è come vedere mille fiori che si aprono alla fine una tempesta.

Le canzoni successive si staccano nuovamente da una formula univoca: troviamo subito una chitarra acustica e il violino a disegnare una melodia bellissima e disturbata da discorsi vuoti e confusi in sottofondo (“Di ieri”); il grunge tocca la psichedelia durante “Spleen # 22” (in realtà il pezzo meno riuscito della raccolta, nonostante un testo splendido); lo strumentale “Divertissement”, che recupera umorali atmosfere dei primi Portishead, intrecciandole ad una tromba alla Chet Baker.

Chiude tutto questo una lisergica e meravigliosa cover di un classico, che mai avremmo sognato di sentire così: “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla; una canzone difficile, dalla quale i Lecrevisse estraggono succo acido e inquieto, regalando una vera perla.

Insomma, “(due.)” è un disco traboccante di fantasia e di idee. Una sorpresa davvero incantevole.

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