Intervista a Lalli

Non ha nessuna paura di mettersi in gioco Lalli, di raccontare le piccole cose che possono cambiare la vita: storie di luoghi visitati che sembrano incantati, storie di incontri musicali e letterari, momenti ancora vivi nella memoria e importantissimi.
Lalli me le ha raccontate, poco prima di cantare sul palco del “Calamita”. Una chiacchierata preziosa, così come preziose sono lei e le sue canzoni.

Parlando del tuo nuovo album, mi sembra che ci siano molte più sfumature rispetto a “Tempo di vento”. Cos’è cambiato nel tuo modo di fare musica? Mi sembra molto più aperto a sonorità diverse…
Sì, questo sicuramente, innanzitutto perché per la prima volta mi trovo ad aver avuto la fortuna di consolidare la collaborazione con Pietro, e questo disco è veramente al 50% tutto suo, perché è venuta veramente a crearsi una sintonia innanzitutto su due punti fondamentali: uno è che le canzoni dovevano stare in piedi voce e chitarra, da sole, prima di tutto; e poi che bisognava rendere in qualche modo giustizia alle storie che volevamo raccontare e che ci premeva raccontare, rendendo loro della leggerezza, dell’aria, volevamo che si sentisse quest’aria, che le storie potessero volare più leggere, perché potessero arrivare meglio alle persone che le ascoltano. Su questi due punti fondamentali abbiamo lavorato, io portavo un testo e lui portava una musica; mi piace pensare, perché così per noi è stato, a un piccolo lavoro di artigianato Ogni volta ci trovavamo e tenevamo quello che per noi era buono e fondamentale e si poteva anche buttare tutto il resto, e da lì andavamo avanti.
Per le sonorità, non è stata neanche quella una scelta a tavolino perché questi sono i suoni che per noi a Torino sono quotidiani, li senti per la strada. Per usare una parola brutta, che non mi piace ma che rende bene l’idea, Torino è una delle città più arabizzate d’Italia, per cui quando scendi per strada da casa tua è normalissimo sentire strumenti dell’area del Mediterraneo… Anche questo, però, doveva essere solo a servizio delle storie che volevamo raccontare.

Infatti, prima parlavi di leggerezza, e rispetto a “Tempo di vento” è una cosa molto evidente, al di là delle chitarre, nei testi, nelle parole che tu canti. Lo riascoltavo oggi e mi ricordava in qualche modo “Linea gotica” dei C.S.I. (Lalli annuisce), un disco molto…
Cupo.

Mi dava l’idea di vecchie fotografie, di ricordi che andavi a tirare fuori…
Sì, anche perché quello era il primo disco a nome mio, e quindi io avevo una storia, un sentiero di 10 anni da raccontare, che avevo l’urgenza di raccontare, perché mi sembrava che se non lo avessi fatto io non lo avrebbe fatto nessun altro: ecco perché suona così, e credo che nel disco si senta. “All’improvviso, nella mia stanza” nasce da un bisogno ancora diverso, che è quello di raccontare delle storie, anche qui con l’urgenza e la paura che le storie piccole vadano perdute nella storia grande…ma poi sono le storie piccole che fanno la storia grande e quindi…

In alcuni dei tuoi testi tornano molto spesso dei luoghi, come Chenini, Buenos Aires, Mostar…sono posti che hai visitato? Anche solo leggendo i testi, danno l’idea di descrizioni molto vive, come se tu fossi stata lì, e li avessi visti.
Beh, Chenini è un posto dove sono stata e dov’è successo, per combinazione, nel giorno in cui sono stata lì, questo piccolissimo episodio: erano due anni che non pioveva, ho avuto la fortuna di capitare lì un pomeriggio in cui il cielo ha cominciato a tuonare per ore e ore e poi finalmente ha incominciato a piovere…Chenini è un villaggio berbero strano, le case sono scavate nella roccia, la gente abita dentro queste rocce, e vedevi la gente spuntare dalla montagna, vedevi queste persone che spuntavano da questi buchi nella montagna e aspettavano…a un certo punto si è messo a piovere, ed è piovuto in realtà pochissimo, ma c’era un’euforia generale, perché era due anni che non pioveva…

Ultima domanda a proposito dei testi: come nascono? Tu hai bisogno di spazi intimi per scrivere? Quali sono, se ne hai, i tuoi maestri, sia come cantautori che come scrittori?
Mah, sai, uno scrive, e non sa né come né perché, né cosa ne farà né cosa scriverà…
Maestri sono sostanzialmente tutti i libri che ho letto e che mi hanno fatto innamorare, per un motivo o per l’altro; di sicuro la prima, ma perché è un amore che dura da tanti anni, inossidabile, è Marguerite Duras, perché lei aveva per me una scrittura orizzontale, che arrivava come a tagliare le parole e te le poneva lì in maniera orizzontale, era come se la storia che stava raccontando non la stesse raccontando, ma la stesse squarciando dal buio e te la aprisse all’improvviso davanti agli occhi, e nella testa cominciasse a fartela vivere proprio…questa è stata una scrittura che ha rivoluzionato il mio modo di guardare i libri.
E poi, non lo so…”All’improvviso, nella mia stanza” è un riferimento a Marguerite Duras, perché ho voluto portarmela dietro anche qua…era un ritornello di una vecchissima canzone francese, qualche tempo aver conosciuto Andreas Steiner, andavano in giro per le campagne o sul lungomare della Normandia e cantavano sulla loro macchinetta questo vecchio ritornello, che era “All’improvviso, nella mia stanza ci sei tu…all’improvviso,nella mia stanza in questo buio ci sei tu…”.
Ho cercato anche di trovarla questa canzone, ma non l’ho mai trovata, non sono mai riuscita a risalire…

È una canzone degli anni ’20?
Non lo so, credo che sia degli anni ’40-’50, non so…
E poi anche gli ascolti fanno da maestri, nel senso che dalle cose che fai in qualche modo si capisce che cosa hai ascoltato…prima di tutto De André, che era in Italia la persona che ha fatto musica, a cui ho voluto più bene, come se fosse stato una persona di casa mia, perché per me era veramente una persona di casa mia, alla quale veramente mi sarebbe piaciuto far sentire le cose che scrivevo.

E non sei mai riuscita?
No, insomma, va così…e poi, insomma, cantanti donne tantissime, non so, posso dirti Mia Martini, Patti Smith, Nico…tantissime, mi dispiace persino dimenticarne qualcuna. Non vorrei citare nessuno, perché sono talmente tante…

Tornando a Torino: guardando i libretti dei dischi dei gruppi che vengono da lì, mi sembra ci sia una collaborazione molto intensa…tu e i Perturbazione, oppure anche a livello di film, Marco Ponti che affida le colonne sonore ai Motel Connection, o Mimmo Calopresti con te (la sua “Testa storta” era scritta per la colonna sonora del film “Preferisco il rumore del mare, ndi). Torino dà l’impressione di essere molto viva…
A me sembra così, io credo che Torino in realtà sia una città molto “ a punta”, dove le contraddizioni sono sempre molto forti, non mostrano mai delle facce molto variegate, le contraddizioni si aprono in maniera forte e spesso per quelle che sono, ed è una città nella quale conseguentemente è anche molto difficile e molto duro vivere; però penso che l’altra faccia di Torino sia proprio questa: succede che, anche grazie a questo fatto di avere queste contraddizioni sempre in maniera molto verticale, si aprano poi delle possibilità in profondità inaspettate, e si ricevano dei regali grandissimi. Io credo che questo sia uno dei motivi, se non il principale, per cui a Torino ci sia molta gente che ha delle cose da dire, che suona, che scrive, proprio perché in qualche modo vivere in quel posto ti dà, nonostante sembri il contrario, la possibilità di aprire la tua finestra sul mondo. Io la adoro, quindi sono di parte, non posso dire niente…

I Franti…una storia che risale a un po’ di anni fa. Tu che ricordi hai?
Dei ricordi molto belli, (lungo silenzio, ndi). É un po’ come se ci fosse bisogno di ancora un po’ di anni per poter raccontare in maniera più serena le cose che hai vissuto in quel periodo; a oggi non c’è quasi niente, forse niente che possa assomigliare a quel periodo lì, ma non per mitizzarlo né per demonizzare in nessun modo…è che la realtà dei fatti, parlo soprattutto della musica, è che si suona in maniera diversa, si canta in maniera diversa, si fa musica, nel senso di come la pratichi, in maniera diversa. Tutto l’aspetto più prettamente politico di quello che era il fare musica di quel tempo non esiste più, e se esiste, esiste solo in una minima parte, ed è quasi delegata a degli aspetti assolutamente ideologici, che non rispecchiano quello di cui la gente ha bisogno; la gente esprime di avere bisogni diversi oggi rispetto alla musica.
Io, però, senza i Franti non sarei nulla, non sarei qua, quindi soprattutto a quelle persone, e a quell’esperienza io devo praticamente il 50% della mia vita: l’avermi dato la possibilità di cominciare allora a cantare ha aperto il mio futuro.

Progetti nuovi?
Ho collaborato al disco solista di Massimo Zamboni, dove ho cantato, credo (ride), quattro brani,ed è un disco che uscirà per la Fandango a Gennaio.
Fa un po’ ridere, però ho fatto l’attrice in un film di Daniele Gallianone, che è un regista di Torino che aveva fatto la sua opera prima tre anni fa, presentata a Cannes e accolta benissimo, che si chiamava “I nostri anni”. Questo film si intitolerà “Nemmeno il destino”, tratto da un romanzo breve di Gianfranco Bettin, ed è la storia dell’amicizia di tre ragazzini di diciassette anni di una periferia del mondo; il film è ambientato nelle periferie di Torino, ma comunque credo che si possano riconoscere tante periferie in questa mancanza di prospettive, mancanza di sogni non grandi, ma anche solo di sogni piccoli, come non soffrire più così tanto o come poter cambiare il proprio destino. Io faccio la parte della mamma del protagonista. Non so bene neanche questo quando uscirà, credo che al momento sia finito il montaggio, ma si deve ancora parlare della colonna sonora.

È stata la tua prima esperienza come attrice?
(ride) Sì, forse anche l’ultima…credo di essere stata fortunatissima, perché ho incontrato Daniele Gallianone e Alessandro Scipo, l’aiuto regista, torinesi d’adozione, che sono due persone di una sensibilità veramente enorme, con le quali è stato persino facile lavorare, perché avevano le idee così chiare su quello che volevano date, e allo stesso tempo avevano dei modi, e anche i toni di voce, che tenevano talmente in conto la tua sensibilità che è stato un sogno, una cosa bellissima. Io spero di essere stata all’altezza, perché io non mi sono mai vista, quindi…sarà un dramma pazzesco!
Poi, rispetto alla musica, tra la fine di quest’anno e fino a giugno dell’anno prossimo cercheremo di fare più concerti, o perlomeno alcuni concerti mirati, in teatro, perché vorremmo registrare un disco dal vivo.